— 251 — Dopo tali ammissioni, poca importanza possiamo dare al fatto che egli, per partito preso, facendosi un obbligo di chiudere gli occhi dinanzi alla solare evidenza dei fatti, si ostini pervicacemente a proclamare, non sappiamo con quanta sincera convinzione, che la cultura e la letteratura italiana in Dalmazia sono un frutto esotico. Per queste ragioni, che pongono in luce simpatica l’autore e il suo lavoro, noi avremmo il desiderio sincero di poterne dir soltanto bene, ma le deficenze che vi si hanno a deplorare sono tali, da limitarne sensibilmente il valore e l’interesse. Due difetti principalmente viziano questo studio, lasciando nel lettore un vivo senso d’insoddisfazione: la scarsa conoscenza della nostra letteratura e la non soverchia familiarità con la nostra lingua che il K. vi rivela, origine, com’ è facile intendere, di giudizi inesatti, di fraintendimenti, di affermazioni errate e di una sconfortante povertà di riscontri ; e l’insufficienza del metodo seguito nell’ indagine critica, per cui l’autore trascura quasi completamente l’analisi dello spirito, dell’anima dei poeti presi in esame e dell’arte loro in ciò che essa ha di più vitale, limitandosi a qualche rara osservazione di carattere prevalentemente formale e il più delle volte generica, che non è poi sufficiente a giustificare i giudizi conclusivi, e ad una paziente esposizione dei contenuti, messi, talvolta con acutezza, più spesso con leggerezza, a profitto, per illustrare le vicende esteriori della vita non solo dei singoli poeti, ma più generalmente dell’ambiente in mezzo a cui vissero e svolsero la loro attività di cittadini e di letterati. Sicché una valutazione estetica dell’opera di questi poeti invano vi si cercherebbe: il merito del K. è tutto qui, nel tentativo fatto, seppur con mezzi inadeguati, di portare un contributo alla storia della cultura in Dalmazia nel secolo XVI, e nell’aver tolti all’oblio in cui ingiustamente giacevano, dimenticati dagli storici della nostra letteratura, i nomi di Lodovico Pasquali, di Savino de Bobali, di Michele Monaldi. Infatti degli ultimi due neppur il nome mi riusci di riscontrare in alcuna delle nostre storie letterarie o anche in studi di problemi letterari particolari che abbiano carattere non strettamente provinciale; di Lodovico Pasquali invece è ricordato il nome in un elenco di poeti petrarchisti fatto dal Flamini nel volume ch’egli ha dedicato al nostro Cinquecento nella collezione del Vallardi (Il Cinquecento in Storia della letteratura italiana, Milano, Vallardi, p. 203); qualche cenno, ma come a poeta latino, gli dedica il Carrara nel suo volume su La poesia pastorale ’). Della fondatezza del giudizio, non certo eccessivamente severo, da me dato sul lavoro del K., potrà, io credo, convincere un esame più particolareggiato del suo studio, il quale mi offrirà altresì il destro per far conoscere più da vicino i tre sopraccitati poeti, nonché per gettare qualche rapido sguardo sulle condizioni di cultura delle città dalmate nel secolo XVI, che, a riconferma della verità della nostra tesi, si dimostreranno sostanzialmente identiche a quelle delle altre regioni d'Italia. *) Riferisco il cenno fattone dal CARRARA (La poesia pastorale in Storia dei generi letterari, Milano, Vallardi, pp. 399-400): «Insieme ai carmi del Camillo, del Molza e d’altri „ illustrium poetarum “ il Dolce pubblicava nel 1551 i versi di un Lodovico Pascale di Cattaro, che in posteriori stampe è detto romanus, ma che combattè ai soldi di Venezia in Oriente, onde trasse i ricordi per la sua sylva „ De Specu corycio “ poemetto meglio che idillio mitologico : qui ne ricordiamo un’ ecloga in morte di un Lodovico Pontano, pianto da Calidorus ed Ar-gantus nel terzo anno che, chiamato in Cipro dall’ amor del fratello, ivi aveva abbandonata la vita : nella chiusa le selve dalmatine si commuovono al carme ma i grilli persuadono i pastori a rincasare ». In una nota poi (ivi, p. 494) è detto che le notizie sul Pascale sono state desunte dal Carrara in BONGI, Annali di G. Giolito ... (Roma 1890), I. 332. Non abbiamo potuto consultarli.