— 255 — l’Appendini (op. cil., p. 37), cioè come in un manoscritto compilato da certo Girolamo Panizza per istruzione del proprio figlio nella poesia italiana, « fra sonetti dei migliori autori, eh’ egli apporta, due se ne ritrovino di Lodovico Pasquali da Cattaro ». Come apprendiamo dalla prefazione premessa dal Bacotich alla pubblicazione di alcune poesie italiane del Pasquali, fatta con molta opportunità dallMr-chivio Storico per la Dalmazia (Anno I, fase. 8 e 9), il primo a trattare delle Rime Volgari del Nostro, fu Urbano Raffaelli da Cattaro in un articolo comparso nel dicembre 1845 nel periodico «La Dalmazia», che allora usciva a Zara. 11 Gliubich che potè avere dal Raffaelli un manoscritto di queste rime, che poco dovrebbe discostarsl dall’edizione di Venezia, non esita a porre il Pasquali (Dizionario biografico degli uomini illustri della Dalmazia, Vienna, 1856, p. 240) «fra quei pochi che si son posti a modello il cantor di Sorga, senza però riuscirne soltanto freddi imitatori. 11 subbietto di questi carmi non è un ente di ragione, come non era per l’amico di Laura: essi invece ci offrono la storia fedele d'una gagliarda passione. L’andamento ne è tutto affatto petrarchesco, e talmente piega le rime a vestire spontaneamente le idee, che il verso sembra essere il suo linguaggio». Questo per le rime amorose, raccolte nella prima parte del manoscritto; per le rime diverse osserva, che « se per qualche maggior originalità di pensiero e per l’epigrammatico sapore di qualche chiusa» possono considerarsi superiori alte prime, la cedono invece a queste « in delicatezza e in venustà ». Ora quando dopo di ciò leggiamo nel K. affermazioni come questa: «che solo poco più dell’Appendini mostra di sapere il Gliubich, il quale riconosce da sè di aver avuto qualche notizia sulle poesie italiane del Pasquali da Urbano Raffaelli da Cattaro, ma di non averle potuto avere in mano» (p. 3); o come quest’altra: che sul giudizio delle poesie amorose del Pasquali non può convenire col Gliubich, c il quale sostiene che la fanciulla da esso cantata, come anche la Laura del Petrarca, è un ente di ragione, mentre d’altro canto riconosce che le sue rime offrono la storia fedele tF una gagliarda passione » (p. 40), quando, dico, leggiamo questo, spalanchiamo tanto di bocca, e lo stupore c’ impedisce perfino di chiedere al professore di Zagabria in quali inchiostri abbia letto il Gliubich, che pur cita! Ma passiamo oltre. Nella prima parte dell’ edizione di Venezia sono raccolte, secondo l’ordine, pare, di composizione, le rime amorose, nate, come dice il Pasquali nell’ epistola dedicatoria a Madonna Martia Chrisogona, Gentildonna Za-ratina», (letterata anch’essa, stabilitasi a Venezia, e che forse curò l’edizione), nell' estremo angulo della Dalmatia, in fra monti alpestri et privi d ogni commertio et conversation gentile ». Esse contengono la storia del suo amore, durato quattr’ anni : storia semplice, d’ogni giorno, ma che al poeta ha offerto abbondante materia pel suo canto: la donna di cui egli s'è innamorato, da prima non lo cura, poscia gli addimostra una certa inclinazione, infine lo ricambia con eguale passione; ma per poco, chè vien meno alla fede promessa e lo abbandona per sempre, sposando un altr' uomo, di sua volontà o perchè costretta dai genitori, non si capisce bene. Al poeta, troncata irrimediabilmente ogni speranza, non resta che cercar consolazione nella fede. Naturalmente però la storia di questo amore, che non è ricalcata, almeno nelle sue linee generali come si può giudicare anche solo dal breve cenno da noi fattone, su quella dell’ inarrivabile modello, finisce per essere cantata in modo tutto affatto convenzionale, non essendo riuscito al poeta di sottrarsi a quel