— 146 — Dunque costui per dottissimo tieni, se 1 libri ne osservi ; Ma se il reale sapere, indeciso starai tra l’alloro E la pittura che rende una laida testa orecchiuta. O che mole è mai questa, elevata alle stelle del cielo? La magion di Lucullo? Gli atri di marmo, le imposte 140 S’ergon di cedro e al sole fan schermo le chiuse finestre : Ardui pendono con stuccature di gesso i soffitti. Brillano d’ostro gli arazzi : screziati tappeti il triclinio Stesi ricoprono e molli di sotto apprestano piume I cuscini di seta. Che Giove qua entro dimora ? 145 Giove! Il padrone ecco qui. Tempo addietro dal fondo paterno Ei s’inurbò già adulto, già esperto a smuover le zolle Con l'aratro e la dura zappa a trattare istruito. L’arte mutò col servizio, allogandosi in casa di Scauro : Tutto il suo compito fu: alla scuola condurre di Scauro 150 II figlioletto, recar del signore in più parti i messaggi Per la città, fra le ancelle spazzare la grassa cucina, Sgraffignar sottomano qualcosa, che offrisse la sorte : Della grammatica apprendere i primi elementi a fatica, Per riuscir a vergare una lettera breve alla madre. I 55 Poi quella nave, che pria dal signor stipendiato guidava, Regge sovrano e si sente chiamar : cittadino di Roma Lucio Emilio, duce e padron della nave. Quel vecchio, Rustico nome di Cappadocio non c’è chi s’arrischi Dire; il ricordo in tutti n’è spento: egli sì del destino 160 Ebbe il favor : dal Mar Nero o da Cadice come nessuno Gaio a quattrini ritorna, da che sospinse il naviglio Entro le secche arenose o a mezzo il mar lo sommerse. Or dall' usura turpe ricava redditi ingenti ; Traffica tutto, mentisce, spergiura e del grado sociale 165 Del palagio, del censo più alti volgendo i pensieri, Messe in oblivion la casuccia e la marra paterna, Brama indiarsi, col riso punzecchia le cose mediocri, Fabbrica, sciupa nel lusso gli averi, acquista giardini Ed a Lucullo dall’ Asia tornato s' adegua, il briccone. 170