— 243 — zibaldone di Mauro Orbini (Il regno degli Slavi, Pesaro, 1601, pag. 197). E, fuori di Dalmazia, per quanto Francesco Arsilo nel poemetto in distici sui più grandi poeti latini dell’ epoca non nomini il Nostro (Tiraboschi, Storia della lett. it., tomo VII, parte III, pag. 468-485), pure egli è per il suo De Raptu noto a Giglio Gregorio Giraldi che ne fa menzione nei dialoghi De poetis suorum temporum. Nel secolo XVIII in particolare l’opera del Bona fu oggetto di dotti studi nella sua patria: si occuparono di lui specialmente l’erudito gesuita Ignazio Giorgi e Serafino Cerva, ambidue appassionati investigatori di memorie ragusine, conservandoci preziose notizie intorno al poeta. Dai loro scritti attinsero poi Sebastiano Dolci e I’Appendini nella sua opera a stampa (Notizie istorico-critiche ecc., t. II, pag. 131-132). Questi lavori sono in buona parte rimasti manoscritti e giacciono negli archivi della città natale del poeta. Purtroppo del vasto materiale inedito che resta a Ragusa e riguarda il Bona nessun profitto potè trarre il critico russo; egli non conobbe che le scarne notizie dell’Appendini, da lui citato nel li voi. del suo Vergilio nel Rin. (pag. 223); notizie malsicure e quel che è peggio di seconda mano, che indussero lo scrittore in qualche lieve errore. Crediamo quindi di far cosa grata agli studiosi completando le brevi osservazioni dello Zabughin con notizie attinte ad uno studio ampio, accurato e quasi sempre imparziale intorno al Bona che il prof. D. Kòrbler pubblicò nel 1910 negli Atti dell Accademia di Zagabria, studio che lo Zabughin non mostra di conoscere. Ci lusinghiamo che ciò possa tornar utile a chi, riprendendo il disegno dello Zabughin, vorrà curare, come vivamente ci auguriamo, quell’edizione delle opere del Bona che era stata già annunziata come prossima sul Giornale storico della lett. ¡tal- * * * La poesia latina del Bona non è un fenomeno isolato nella storia della cultura ragusea di quel secolo; egli fa parte di quell’eletta schiera di umanisti e poeti che tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento diedero alla minuscola repubblica il vanto di poter gareggiare in questo campo colle più colte città della Penisola. Facevano parte di questa corona di letterati il già citato E. L. Cerva, romanissimo tra tutti gli scrittori di Ragusa e amico del Nostro, Carlo Pozza, Giovanni Gozze, lo storico Cervario Tuberone, Damiano Benessa, autore anch'esso di un poema di argomento cristiano (De Morte Christi), e altri che attendono ancora di esser svelati al pubblico dalla pazienza di qualche studioso. Apparteneva il Bona ad antica e nobilissima famiglia, che diede alla repubblica valenti teologi, poeti, uomini di stato ed abili mercanti. Di uno di questi, Biagio, contemporaneo del Nostro, parla Benvenuto Celli ni nel SUO Trattato intorno alle otto principali arti dell’ Oreficeria, ricordando come esso a Roma possedesse un meraviglioso carbonchio bianco che aveva destato la sua ammirazione. Anche il Nostro, nato a Ragusa nel 1469 da Elia Bona, esercitò il commercio ed ebbe vita attivissima viaggiando nell’Oriente e vendendo le sue merci — tappeti e gioie — in tutti i paesi d’Europa, dall’ Italia alla Francia, dalla Spagna all’ Inghilterra. Damiano Benessa, amico di famiglia che alla morte del Nostro ne scrisse un epicedio in esametri latini narrandone per disteso la vita, ricorda che « sua cunctae hominum gentes commercia poscunt » e ne enumera dettagliatamente tutti i viaggi che lo portavano spesso anche alle corti di illustri regnanti. Invero il secolo XVI segnava l’epoca della massima floridezza nella storia del commercio di Ragusa; nè c’è da stupirsi che in queste peregrinazioni egli