— 254 — Nato da cospicua famiglia a Cattaro nel 1500, si recò, com’ era consuetudine più che secolare dei figli delle famiglie più facoltose di quella città, a completare gli studi nell’ Università di Padova. Qui conobbe Lodovico Dolce, al quale rimase legato anche in seguito da salda amicizia; e fu, con tutta probabilità, qui, dove proprio allora era stata iniziata dal Bembo la reazione contro il marinismo del Tebaldeo (Tebaldi scrive il K.) e di Serafino Aquilano, che il Nostro, il quale già in patria s’era esercitato nel poetare in italiano e in latino, come tanti altri suoi conterranei, potè sviluppare appieno le sue innate qualità di poeta, volgendo, sull’esempio che gli veniva dall’alto, ogni sua cura alla levigatezza ed eleganza della forma. Fu forse durante uno dei viaggi che lo portavano da Cattaro a Padova, o da qui in patria, che il nostro poeta cadde in mano ai corsari barbareschi, come si ricava dall’elegia De natali die (Ludovici Pascalis ecc. Carmina ecc., Ve-netiis apud G. Giolitum et fratres de Ferrariis, MDL1, I, 7); ma non rimase a lungo .. Lybicis Nomadum captivus in oris, perchè ben presto ... miserata meos clementia Numina casus Me cito de tantis eripuere malis. Desumendola dall’ elegia a Marino Bisanti (11,3), il K. fissa la data del soggiorno del poeta, al soldo di Venezia, nell'isola di Creta, intorno al 1537, quando cioè Kair-el-din-Barbarossa aveva iniziato le occupazioni e le devastazioni nelle isole dell’ Egeo. 11 nostro Cattarino, che era di sede a Retino, non si lasciò assorbire tutto dalle sue mansioni di ufficiale, che lo tenevano occupato durante la giornata nella sorveglianza ai lavori di fortificazione che la Repubblica vi faceva eseguire, e di notte nel vigilare il servizio delle sentinelle, ma da quell’uomo dotto che era, rivolse la sua attenzione alle imponenti rovine dell’ antica civiltà cretese e, narra egli stesso, nell’ elegia ad Eugenio Bucchia, composta poco prima di abbandonare l’isola e far ritorno in patria (li, 2): Multaque adhuc veterum superant vestigia rerum, Nam Jovis in summo vidimus antra iugo. Vidimus obscuras, quas struxit Daedalus aedes, Caecaque semiviro tecta habitata bovi. Vidimus et muros ruinosaque saxa iacere Hic, ubi Gnosiacae iam locus urbis erat. Et centum populis ubi Minos iura ferebat, Nunc versant validi rastra et aratra boves. Dopo il suo ritorno in patria, poche notizie abbiamo di lui. Nel 1549 diede alle stampe, a Venezia, presso Stefano e Battista Cognati, le sue Rime volgari; qualche mese dopo la sua morte avvenuta nell’anno 1550, furono pubblicati dal Dolce, pure a Venezia, presso Gabriele Giolito, i suoi carmi latini, che portano la data 1551. Pochi si sono occupati finora della produzione poetica di Lodovico Pasquali, e i più ignorandone quasi completamente i versi italiani. Di lui come poeta latino trattò, ma incidentalmente e in maniera affatto sommaria, più di recente lo Srepel, cui la morte impedì di darci quello studio ampio che aveva promesso. Della sua attività come rimatore italiano egli conobbe quel poco che ne scrisse