Superbia tumidi, potentia elati, de iniuriis gloriantes, de malitiis exultantes : deridebant inferiores, contempnebant superiores, nullos sibi fore pares credebant». Tommaso non cela invece la sua simpatia con Venezia e l’ammirazione per Enrico Dandolo (1202): in un passo poi caratterizza i Veneziani, i quali nel 1242, preparandosi un’altra volta alla presa di Zara, dànno bella prova di accortezza e di praticità mercantile (p. 184): «Sed Ueneti, ut circumspecti et solertes uiri, a principio dissimulantes iniurias, et dampna equanimiter supportantes, traxerunt prius cunctos captiuos, et pecunias, quas Jadre habuerant, receperunt >-. Tutta la cronaca di Tommaso è pervasa, oltre che da zelo religioso, da amore intenso alle tradizioni della patria e da forte avversione al reggimento slavo (p. 69: «detestantes prorsus regimen uiri Sclauigene experiri»): l’Arcidiacono si reca in Ancona per trovare potestatem de gente latina (Garganus de Arscindis): così riesce a riorganizzare il Comune di Spalato sul modello di quelli d’Italia (p. 120: «regimen di-sposuit ad exemplar ytalicarum urbium, que per potestatum regimina gubernantur ») : ciò è per lui titolo di onore, non meno che la lotta contro i presuli ignoranti e indegni. E anche nel campo ecclesiastico egli sente il divario tra i prelati delle città latine e quelli delle zupanie slave: come a quello di Zara stava dal punto di vista nazionale in antitesi il vescovo di Nona, così a quello di Spalato il vescovo speciale croato di Knin (p. 45): «Voluerunt etiam Chroatorum reges quasi spe-cialem habere pontificem, petieruntque ab archiepiscopo spalatensi; et fecerunt episcopum, qui Chroatensis appellabatur, posueruntque sedem eius in campo, in ecclesia sancte Marie iuxta castruin tiniense» (cfr. anche l’episodio di Ulfo e Cededa, p. 49-53). Nel ritrarre alcune scene pare che a volte Tommaso perfino carichi un po’ le tinte, come quando scrive de seditione a pud S. Stephanum (cap. XL1) e de seditione que facta est per laycos in electionis processu (cap. XLIV); eppure proprio in tali pagine si rivela senz’ambagi il carattere energico, resistente, battagliero del sacerdote e del cittadino. Nella prima parte della cronaca, dove son messe in rilievo le lotte sostenute dall’arcidiacono Onorato con l’arcivescovo Natale (p. 13-21) par di vedere anticipati i casi di Tommaso nel sec. VI; quando però si leggano le epistole di Gregorio I e altri documenti autentici in proposito, si può soltanto ritenere che lo scrittore abbia innestato in quella storia verace i sentimenti della sua esperienza dolorosa, interpretando l’episodio da storico ed artista ad un tempo. Varia e attraente risulta, nel complesso e nelle singole parti, questa cronaca che è il primo saggio conosciuto di storiografia dalmata, degno di stare accanto alla produzione consimile germinata in Italia nel secolo XIII: è strano quindi che gli assertori vecchi e recenti della romanità dalmatica e gli storici della letteratura nostra non abbiano tenuto nel debito conto quest’opera cosi notevole e vigorosa. Quanto alla visione storica ed allo stile, la cronaca di Tommaso è prodotto genuino dell’età sua: tortamente quindi taluno la crede impregnata di spirito umanistico. L’Arcidiacono nella trama e nella lingua è il vero cronista del medioevo avanzato e s’accosta tutf al più, per certe movenze ed espressioni, a Salimbene (nato nel 1221), cosi soggettivo ed efficacemente aneddotico, e prenunzia in qualche concezione e giudizio i cronisti volgari del sec. XIV (Dino Compagni); ma l’alba del Rinascimento per lui non spunta ancora. Anzi Tommaso riconosce, proprio come Dino, nelle vicende storiche la vendetta o la grazia divina, crede nel trionfo della giustizia e parla con tono biblico nei momenti più rilevati del racconto: «Sed quid ualet annisus hominis, ubi diuine protectionis gracia deest?» (p. 26), e altrove, a proposito della punizione degli Zaratini ribelli, esclama: « divina ultio