— 2Ì4 — patuit super eos » (p. 84) ecc. Anche le digressioni e certi accostamenti lontani di fatti ricordano i cronisti a lui contemporanei. Nello stile disuguale, ora ingenuo ora artificioso, senti lo scrittore del sec. XIII, quasi coetaneo di Salimbene; quanto alla lingua, non v’è nulla che ci possa far pensare agli umanisti: nei costrutti anacolutici e nel lessico la cronaca di Tommaso è esempio tipico di latinità del tempo di mezzo : basta sfogliare alcune pagine del libro per convincersene subito. Si osservi questo periodo scelto a caso (p. 20) : « Beatus uero Gregorius Natali rescripsit, de multis excessibus redarguens ipsum, et precipue de dolosa promo-tione Honorati dicens, quod ualde iniquum fuit, ut uno eodemque tempore una persona nolens ad ordinem sacerdotii promoueatur, que tanquam immerita archi-diaconatus officio remouetur, et sicut iustum est, ut nemo crescere compellatur inuitus, ita censendum puto, ne quisquam insons ab ordinis sui ministerio dei-ciatur iniuste ». E quest* altro (p. 211): < Archidiaconus autem allegans tenorem priuilegii, quod ab antiquis regibus ciuitas optinuerat, de obsidibus dandis consentire nullatenus uoluerunt ». Più spesso invece Tommaso procura di scrivere secondo le norme retoriche delle scuole di allora; mai però s’avvicina ai precetti umanistici. La coltura classica dell’ Arcidiacono non va più in là di qualche ricordo di Virgilio, Ovidio, Orazio, Lucano (citati nella cronaca) e di qualche frase racimolata da letture non davvero assai larghe (florilegi, excerpta): la storia antica è scarnamente accennata con reminiscenze dal compendio di Velleio Patercolo: coltura che si riscontra in ogni buon notarias che abbia frequentato qualche studio allora celebre (Tommaso fu probabilmente il primo dalmata che studiò in un’università della penisola, cfr. cap. XXVI, curri essem Bononie in studio, a. 1222). La lettura della cronaca di Tommaso lascia però vivo il desiderio di un’ edizione più rammodernata e coerente nella grafia, sulla base dell’archetipo (che converrà ben chiarire se sia autografo o dettato dall’autore o copia sincrona esemplata in un monastero benedettino prima della morte di Tommaso) e non senza l’esame accurato degli altri codici. Il Selem, per tornare a lui, tutto ciò ha compreso e, studiando l’aspetto complessivo della cronaca, ne ha ben valutata la concezione medioevale, attingendo ai lavori storiografici più recenti, italiani e slavi, e facendo retto uso delle fonti. Tutti saranno d’accordo con lui nel ritenere che la historia di Tommaso è la documentazione più viva e vera della romanità medioevale di Spalato. L’analisi dell’opera di Tommaso è pregevolissima: l’opuscolo è scritto con semplicità, senza adornamenti inutili: perciò il Selem riesce efficace nel rappresentare e drammatizzare le scene più caratteristiche del racconto e appare sempre perspicuo nella dizione, com’ è diritto nei giudizi. Con buon metodo egli confuta le asserzioni del Segvic (e avrebbe potuto scuotere anche quelle dello Strohal) riguardo alle origini di Spalato. Concludendo, converrà porre in rilievo che il Selem ha voluto tracciare solo un profilo di Tommaso, studiandone lo spirito come indice dei tempi e delle aspirazioni del suo municipio; resterebbe ancora il còmpito di confortare la visione storica dell’ Arcidiacono con i documenti sincroni contenuti nel codice diplomatico dell’ Accademia zagabrese : ne uscirebbe il quadro completo della vita di Spalato durante un intero secolo. E sarebbe ancora da augurare che qualche nostro studioso si accingesse a stendere una storia di Spalato: chè quel municipio, assai ricco di glorie nel passato, può offrire ampia materia di indagini e non tenue argomento di orgoglio patriottico. A. Filippi.