— 267 - strano, se il poeta può parlarne semplicemente così, quanti e quanto diligenti lettori avesse il Boccaccio nel secolo XVI a Ragusa, ma anche, coni’è chiaro, al Petrarca, che « sparse in ogni lido le sue dolc’ ire, e dolci paci », e all’ Ariosto che <- a Ruggier diè più alto grido ». Ma il K., per la poca conoscenza che ha della materia che tratta, non s’accorge di ciò ed è tentato di vedere anche nella seconda terzina un’allusione a personaggi boccacceschi, sebbene non sappia egli stesso precisar quali, perchè nel Decamerone si parla di arecchi personaggi che < sì aggirano qua e là pel mare (vedi mirabile interpretazione dei primi due versi della seconda terzina!) e giungono cosi a molte rive» (p. 97), nonché di molti « Ruggieri», come per es. nella prima novella della decima giornata ecc. (ivi). Così nei versi della satira all’ Amalteo, in cui fa l’elogio della sordità (R., p. 164 e sgg.): Non farò, come quei, che 'n loro carte An lodato le Fiche, e cose frali, Apparir la bugia vera con arte, è evidente l’allusione alla poesia bernesca; ma anche di ciò non s’avvede il K. che, come deploravamo all’ inizio della nostra recensione, s’è accinto allo studio della poesia del Cinquecento in Dalmazia con mezzi troppo inadeguati, per fare un lavoro veramente utile. Concludendo l’analisi dell’opera poetica di Savino de Bobali, il K. ripete suppergiù quello che già ebbe a dire a proposito del Pasquali, con qualche aggiunta. 11 poeta ragusino rimase per gl’ Italiani sempre un estraneo e fu subito dimenticato, «mentre — scrive testualmente il K. (p. 91) — se avesse espresso nella sua lingua materna croata i bei pensieri che espresse in queste rime, io non dubito un momento che egli verrebbe considerato uno dei principali lirici ragusei del secolo XVI ». O perchè mai? Non certo di lui, che fu un conoscitore così profondo della nostra lingua, succhiata col latte materno, e nella quale poi andò perfezionandosi con lo studio paziente e diligente sui classici, non avendo potuto recarsi a Firenze, come sarebbe stato suo desiderio e come invece si recarono tanti altri suoi conterranei e quel Luca Sorgo, al quale scriveva (R., Ili b) : Or che, Sorgo gentil, ti trovi in parte, Ch’ai bell’idioma Tosco è ’1 fonte vero Puoi ben trarten la sete, e di leggiero A me, che f amo tanto, ancor far parte. Quel, eh’ io vo raccogliendo a parte a parte, Con gran fatica, e per più d’un sentiero, Tu in loco, e 'n riposo, e ’ntero intero Godi si, che puoi far Natura l’arte; non certo di lui, dicevo, si può sostenere che un’imperfetta conoscenza della lingua in cui imprese a poetare gli ha impedito di raggiungere quell’eccellenza che avrebbe conseguito poetando in croato. Il professor Kòrbler può per conto suo affermare ciò che gli pare, ed anche che la lingua materna del Bobali fu la croata, ma contro queste sue affermazioni parla il poeta stesso, il quale, pensiamo, ne avrà pur dovuto saper qualcosa. Cito così a caso. Nel sonetto ad un Evandro (/?., p. 127 b), che non sappiamo chi sia, parlando della sua donna dice: Or nella nostra, or nell’ altrui favella Scrivo cose di lei... ;