- 186 - paio di giorni dopo altri 10.000. Venezia, che per aver la Dalmazia ne aveva già sborsati 100.000, naturalmente glieli rifiuta. E allora, per vendicarsi, quel conte assalta le terre veneziane nell’Istria. Venezia risponde bloccando Segna. E Niccolò a fare subito mille scuse, che non egli, ma le sue genti, a sua insaputa, avevano assalito le terre istriane. (LjUBlC, «Monumenta», VI, VII, passim). pag. 89. I conti veneti di Arbe, prima del 1409, non erano annuali, ma quasi sempre a vita. Il viceconte non era arbesano ma quasi sempre uno straniero. pag. 90. Non è vero che le persone ecclesiastiche facessero parte del maggior consiglio. Non è vero che il consiglio si raccogliesse nell’atrio della cattedrale. Alcune parole dell’atto del 1118 non provano quello che l’autore vorrebbe. In chiesa si faceva soltanto l’elezione del conte. pag. 93. L’a. mette una « confraternitas battitorum » tra le confraternite delle arti! Si tratta forse dei battiruggine? pag. 100. Scrive l’a.: «Nemmeno dopo la sua seconda guerra infelice contro i veneziani Sigismondo cessò di pensare alla Dalmazia». Grossa bugia o deplorevole ignoranza. Non solo Ladislavo, ma anche Sigismondo vendette a Venezia la Dalmazia per 10.000 ducati e riconobbe nella pace di Praga, il 29 luglio 1437, a Venezia il possesso di Novegradi, Nona, Vrana, Sebenico, Traù, Spalato, Cattaro, ecc. con tutti i territori e le isole appartenenti a quelle città. Da allora nessun principe, tranne il turco, ebbe nè il coraggio nè il diritto di contendere la Dalmazia alla Serenissima. pag. 108-9. L’a. mente sapendo di mentire quando asserisce che nel primo quarto del sec. XVI i popolari «cominciarono a cospirare nelle loro congregazioni annuali contro il dominio di Venezia». La terminazione del 30 luglio 1530, (emanata dal conte Domenico Falier e non venuta da Venezia), che l’autore mostra di conoscere, rappresenta al vivo il vero stato delle cose, sul quale non è possibile equivocare: la lite era tra la comunità (corpo nobile) e l’università (corpo popolare) ed era originata dal fatto che l’università pretendeva di avere, come la comunità, diritto di riunirsi a congregazione quando le fosse piaciuto. A tale pretesa la comunità si opponeva con tutte le forze, sì che ne erano nati « odia et dissensiones » che il conte pacificò con la suddetta terminazione. (Liber Rubeus, cc. 40-41). pag. 109. E nuovamente l’a. mente sapendo di mentire quando asserisce che « le nuove ordinanze intorno al servizio militare obbligatorio e intorno all'armamento delle galere suscitarono tra i popolari una gran disperazione » sì che ne scoppiò una rivolta. Anzitutto non è vero che