- 236 - nell'ultimo caso esaminato, trova gli storici contrari, allora finge di ignorarli e racconta le cose secondo il suo convincimento o proposito, ispirandosi magari a una qualunque teoria che gli sembri più adatta al caso suo. In questo modo riesce a dimostrare il carattere slavo, anzi narentano, di Lesina fin dal VII sec. Raggiunto questo, tutto il rimanente, con un po' di prudenza, viene da sè. Dopo il 1000 si trova per esempio che Lesina, in seguito evidentemente all’ intervento di Pietro Orseolo, è autonoma e sciolta, come notava il Boglic stesso, da ogni vincolo con lo stato del Narenta. Per il N. questo non costituisce un fatto nuovo, perchè egli aveva già prima opportunamente concesso l’autonomia ai Narentani» dell’isola, raccontando che ancora «nel IX sec. essi non riconoscevano nessun’autorità diretta (cap. V, pag. 41), senza il bisogno di ricorrere per questo a prove o a conferme. Inoltre, verso la fine del sec. XII o al principio del XIII, sorge a Lesina il Comune. Infatti il N. cita un documento in riguardo, da lui stesso rinvenuto nell’archivio del Capitolo lesignano, e che porta la data: «Anno domini 1205, indictione Vili, die II novembris. Actum Phari in curia ommunis ». Qui sarebbe un po’ difficile far l’innesto dell’istituzione romanica sulla forma di governo narentana; d'altra parte il N. capisce che non può ormai reggere nemmeno la spiegazione che il Lucio aveva dato sull'origine dei municipi delle isole dalmate meridionali, perchè vi si oppone la data del documento scoperto proprio da lui. Egli perciò non trova più che sia il caso di farsi forte dell’autorità del Lucio, come aveva stimato utile il suo predecessore Boglic, e risolve la questione tacendo e riprendendo senz’altro il filo della sua narrazione. Un po' prima del Comune, era sorto a Lesina il Vescovato. Il N. ricorda benissimo che molto tempo avanti la venuta di Martino Manzavino la chiesa dell’isola era retta da un arciprete, che dipendeva dal vescovo di Spalato; e sa altrettanto bene che il rito religioso a Lesina era stato sempre quello latino, tanto è vero che nella sua storia non si trovano mai notizie del rito nazionale slavo o di eresie. Ma finge di ignorare quello che osservava già il buon Ciccarelli, e cioè che i Narentani « siccome furono battezzati dai sacerdoti greci, cosi abbracciarono il rito greco, e in progresso di tempo i loro discendenti seguirono gli errori dei greci, lo scisma foziano e persino l’eresia dei Patareni » (Saggio sulla città di Narona ecc., In Progr. d. Ginn, di Zara, 1860, pag. 113). E poiché non sono del tutto chiare le ragioni che indussero i « narentani di Lesina a comportarsi in fatto di religione sempre diversamente dai loro consanguinei di terraferma, anche qui il N. ha stimato più prudente il non pronunziarsi. Questo secondo metodo, dell’ opportuno silenzio, il N. non 1’ ha potuto seguire però nel disegnare il quadro della vita di Lesina sotto il dominio di Venezia. Qui è giocoforza tener conto degli ordinamenti della città, codificati nello statuto, degli usi e costumi e della lingua parlata dagli abitanti, e infine del fiorire delle lettere e delle arti, che attestano il pieno sviluppo della civiltà veneta. E il N. realmente lo fa; ma egli è un noto sostenitore della trovata per cui tutto l’attaccamento dei dalmati alla Repubblica, non potendo negarsi, lo si spiega facilmente colla sola bontà delle leggi veneziane, che favorirono il benessere dei suoi domini. Inoltre nel caso specifico di Lesina c’è nel 1525 l'orazione del Priboevic, che per il N. è l'avvenimento più saliente di tutta l'epoca che va dal 1420 al 1797, la quale soltanto al lume di quella rettorica può esser vista nel suo vero aspetto. È inutile dire che così il quadro nel suo insieme risulta completamente svisato. Questo apparisce anche a chi non sia eccessivamente versato nella storia