- 245 - ricchissimo, di bell’ aspetto, circondato da numerosa figliolanza, stimato e accarezzato in patria e fuori, ebbe un'esistenza invidiabile. E tale lo esaltava un suo amico, maestro a Ragusa, Girolamo Andrea: « Omnibus donis superum redundas, « Sorte foelici radias, parensque « Prole foecunda, generisque claro « Nomine fulges». A proposito della sua avvenenza lo Zabughin attingendo all’Appendini (Notizie storico-critiche ecc., v. Il, pag. 132) ricorda le parole che Leone X gli avrebbe rivolto, mentre gradiva l’offerta del poemetto su Ercole: « Recte omnia conveniunt: os et opus. Sic fruge bona bona nascitur arbos». Ma per quanto il detto suoni bene sulla bocca del Pontefice mecenate, questa volta il critico russo fu tratto in errore, come si rileva dallo studio del Kòrbler che chiarisce la svista dell’Appendini. Quelle parole, secondo una poesia del Nostro (pag. 293 dell’ edizione del 1526) furono pronunciate da Clemente VII, quando il Bona gli chiese la licenza di stampare a Roma la sua opera maggiore. Ma da Leone X, che qual fine conoscitore di cose d’arte avrà ammirato il poemetto giovanile, il Nostro come già il Vida — avrà probabilmente ricevuto l’incitamento a comporre quel poema su Cristo, che lo tenne occupato negli ultimi anni. Sono noti infatti i desideri del Papa di avere in veste latina un’epopea cristiana degna del gran secolo. Nel 1525 l’opera era condotta a termine e nell’autunno di quell’anno il Bona si recava a Roma per darla alle stampe. Per mezzo del cardinale Agostino Trivulzio, fratello dell’arcivescovo di Ragusa, ottenne un’udienza da Clemente VII, il quale accolse il poeta molto affabilmente e compiaciutosi grandemente del lavoro, per desiderio dello stesso Bona lo fece rivedere dal pio e dotto cardinale Egidio Canisio. Così nel maggio del 1526 vedevano la luce a Roma i due poemi del RagUSÌno : « Jacobi Boni Racusaei de vita et gestis Christi eiusque mysteriis et documentis opus egregium, ex quattuor Euangeliis aliisque diuinis eloquiis ad omni-modam et perfectam Christianorum eruditionem, carmine Heroico eleganter ac mirifice congestum, atque in XVI libros diuisum. Eiusdem Jacobi Praeludium in treis distin-ctum libros, trium gratiarum nominibus appellatos, atque Herculis labores et gesta in Christi figuram, mystice ac pulcherrime eodem carmine continens ». Questa fu 1’ unica edizione dell’ opera maggiore del Bona, che — come osserva lo Zabughin — cadde nell’oblio «ammazzata dal barocco zibaldone del Vida». Non ebbe egual sorte il poemetto giovanile che fu stampato ancor una volta nel secolo XVI presso Roberto Winter a Basilea (1538 e 1544), col suo titolo primitivo, in una miscellanea di poesie latine di autori antichi e recenti. L’edizione romana del '26 è preceduta da tre poesie dell’autore: la prima rivolta a Clemente VII e Carlo V, la seconda al Pontefice, la terza all’ Imperatore. Tutte e tre sono significative, perchè vi si rifette di scorcio il grave momento storico che la Cristianità attraversava e perchè c’ illuminano sullo spirito e sulle tendenze schiettamente antiluterane che animavano l’autore. « Ignibus heus alte modo te succinge coruscis « Sordentesque luto piceae stygis ure Luteros > così esclama il Nostro parlando al Sovrano germanico. Queste tendenze ci son confermate anche da altri fatti: l’amicizia che il poeta stringeva a Roma col car-