— 261 — No, la ragione, anzi le ragioni sono diverse, e assai semplici, e assai evidenti. Il destino della lirica del Pasquali non fu diverso da quello in genere della poesia petrarchesca di questo secolo, la quale, come ottimamente osservava il Mazzoni (La lirica del Cinquecento in La vita italiana nel Cinquecento, Milano, Treves, 1910, p. 277), « non fu in buona fede, e per ciò inori quasi intiera nella coscienza della nazione». Ed ove questa ragione non bastasse, non si deve dimenticare l’enorme differenza di statura fra le due letterature : che un poeta, elegante quanto si vuole, ma che non si leva certo sopra la mediocrità, come il Pasquali, potesse venir dimenticato in una letteratura che ha dato al mondo tanti e cosi alti poeti quali l'italiana, è cosa più che naturale; com’è del pari naturale che la piccola letteratura croata, della quale potrà essere tutto l'avvenire, ma di cui non è stato il passato e non è il presente, custodisca gelosamente la gloriola della tenue vena poetica di Annibaie Lucio. * * * Più breve sarà il mio discorso intorno a Michele Monaldi e a Savino de Bobali Sordo, non perchè quest’ultimo sia poeta inferiore al Pasquali, chè anzi c’ è nella sua poesia, come giustamente osserva il K., maggior calore di sentimento, ed anche il contenuto ne è, sotto vari aspetti, più pieno d’interesse; ma perchè il campo della nostra indagine è stato sgombrato da una quantità di problemi d’ordine generale già fin qui, e pure del Bobali m’è accaduto di dire qualcosa, nè credo di dovermi ripetere in questa recensione, che minaccia anche cosi di diventare un po’ troppo lunga. Il K. non si dilunga a dare notizie biografiche del Bobali, rimandando a quello che ne scrissero il Racki (Stari pisci hrvatski, 8, p. XV e sgg.) e il Kuku-ljevic (Pjesnici hrvatski, I, p. 297 e sgg.), trattandolo come poeta croato, (poiché anche in questa lingua, sebbene non molto, egli scrisse), ma si limita a far rilevare che l’anno di nascita del Bobali ci è noto pel fatto che nel ruolo dei nobili ragusei del secolo XVI, accanto al suo nome, è apposta l’annotazione che egli divenne membro del Gran Consiglio il 10 gennaio 1550, quando cioè ebbe compiuti i venti anni. La sua vita, conchiusa fra le due date 1530-1585, semplice e piana, trascorsa come fu quasi tutta, tra Ragusa e Stagno, in mezzo agli uffici impostigli dalla sua condizione di nobile e che egli coscienziosamente compiva con rassegnazione, e gli studi diletti, d’indirizzo prevalentemente letterario, chè alla filosofia non sembra abbia avuto particolari attitudini, come invece il suo amico Monaldi, se dobbiamo crederlo sincero nella satira diretta al gentil Giamagno», al «Proculo caro » e al « Sorgo cortese », dove descrivendo la sua vita nel campestre ritiro di Stagno, afferma (Rime, ed. cit., p. 141 e sgg.): Studio in alba ogni dì ciò, che compose Aristotel de’ logicali intrichi, Chiave di tutte le cagioni ascose. Ma, per dirvene il ver, par ch’io m’intrichi (Cosa, che sol mi turba, e sol m’annoia) Più d’ora in ora; e ’n van me n’affatichi. Nel 1589, quattr’anni dopo la morte del poeta, i fratelli di lui, Sigismondo e Marino, col titolo « Rime amorose, e pastorali et satire del Mag. Savino de Bobali