50 — anche perchè, prima di questi anni, non era ancora maturata in questa regione una situazione politica tale da rendervi efficace 1 esplicazione di una attività anti veneziana. Questa situazione però, sempre per opera della casata dei Subich, si andava alacremente preparando. Morto nel maggio 1312 il bano Paolo, gli era succeduto il primogenito Mladino, che dal padre aveva ereditato non solo la dignità di bano, ma anche 1 ambizione sconfinata e, in grado ancor maggiore, la rude prepotenza, mentre minore era in lui certo senso politico, che pur in una qualche misura non può essere negato a Paolo. In politica Mladino e i suoi fratelli, Giorgio, Paolo e Gregorio, non ebbero vedute proprie : si fecero semplici continuatori della politica paterna e materiali esecutori dei suoi piani. I quali piani — giova che qui nuovamente li ricordiamo — erano: stroncare le libertà municipali di Sebenico, Traù e Spalato, e — in un secondo tempo — forse quelle di Zara ; instaurare su larghe basi la pirateria e sfruttare ampiamente le città costiere, non solo dalmatine, ma di ambedue le rive dell’Adriatico, non esclusa Venezia. Perseguendo questi fini, vediamo Giorgio, fratello di Mladino, con una brutalità e con un senso di barbarie sconosciuti alla storia, procedere nel 1315 alla codificazione del diritto di pirateria. Ecco alcuni capitoli del privilegio da lui concesso il 30 maggio 1315 agli almissani, suoi sudditi e pirati di professione : « Item, quod de tributo civitatum ultramarinarum nos medietatem ha-« beamus et aliam medietatem comunitas Almisiensis 1). Item, quod, quando 1) Triste capitolo che dimostra come purtroppo ancora nel trecento vi fossero delle città pugliesi e marchigiane, che per non vedersi assaltate e spogliate le navi e per aver salva la vita dei loro cittadini, si acconciavano a pagare a questi ladri un tributo. Nei secoli di ferro non v’era quasi citta o comune marinaro dell Adriatico che non si adattasse a pagarlo. Lo pagavano, per persuasione dell imperatore Basilio, le città dalmatine ; lo pagava Venezia stessa. Sino a che il doge Pietro Orseolo non libero la sua e le città di Dalmazia dalla ignominiosa contribuzione, ignominiosa non per chi la dava, ma per chi la riceveva. Le altre città dell’Adriatico continuarono invece a pagarla. Non valse nemmeno che Onorio III facesse predicare la crociata contro questi predoni di mare. Non valse che il re di Napoli facesse nel 131 1 (vedi il doc. in SMICIKLAS T., op. cit., voi. Vili, pag. 286) le più severe rimostranze e le più gravi minacce al bano Paolo perchè lasciasse in pace le città dell’Abruzzo e delle Puglie, i cui cittadini venivano alle volte a morte « ob immani expositione torture » alla quale i pirati li assoggettavano, e perchè da esse non esigesse tributi di sorta nè permettesse che si esigessero dai suoi sudditi « piraticam exercentibus pravi-tatem ». Ancora nel 1315 ripetiamo, poiché il documento è stato ad arte lasciato all’oscuro — città marchigiane e pugliesi dovevano con denaro comperare la loro pace e la loro sicurezza.