— 192 — altro burbanzoso rettore, a Domenico Malipiero, che pretendeva spadroneggiare, il Consiglio dei Dieci così scrive il 14 agosto 1480: «sicut debetis ostendite vos rectorem nostri dominii iustum et equabilem exe-cutoreni mandatorum nostrorum ac observatorem nostrarum concessionum, privilegiorum et consuetudinum suarum, et, sicut debetis prebeatis eis et universis ad vos venientibus specimen justitie nostre... quod nisi feceritis vos in facilitate et honore vestro patiemini et eritis exemplo ceteris severe iustitie nostre » (Arch. Ven. C. X). E a un altro ancora di questi poco cortesi rettori, che trattava contumeliosamente i sudditi, a Fantin Moro, il doge, con i capi dei Dieci, scrive il 16 agosto 1496, comandandogli «ut in primis vos urbane et humaniter cum omnibus tam in comuni quam in particulari habeatis... quoniam numquam sumus passuri subditos nostros a rectoribus nostris contumeliose tractari » (Lib. Priv. c. 3-4). Il 18 die. 1517 il doge, replicando una precedente ducale del 1511, riferendosi a certe liti tra nobili e popolari, scrive ad Antonio Marcello conte d’Arbe: «mandari debeatis ambabus partibus... ut debeant quiete et pacifice vivere inter se et abstinere ab omni disordine per quantum habeant caram gratiain nostrani » (Lib. Pop. d. cit.). E finiamo con una ducale del 6 sett. 1578, nella quale al conte d’Arbe, il cui cancelliere faceva differenza nella tassazione delle scritture tra nobili e popolo, il doge scrive così: «Nos vero quorum moris et instituti est fideles nobiles et populares nostros ubique uno eodemque amore prosequi et tractari, volumus.... ecc.» (Lib. Pop. d cit.). E ci pare che basti a dimostrare che il governo di Venezia non fosse parziale ed ingiusto, come da decenni si va ripetendo nella storiografia croata e come l’a., pedissequo ripetitore di panzane che abbiamo udito sino alla noia, gratuitamente asserisce. pag. 123. L’elenco delle famiglie cittadine, aggregate nel 1404 al corpo dei nobili, è, quale ce lo dà l’a., non solo pieno di errori, ma inventato di sana pianta. Evidentemente l’a. lo ha copiato da una raccoltina di documenti che un prete alla fine del settecento curò per una delle solite scorrettissime stampe «al laudo - al taglio». Il quale prete, invece di riportare i nomi di quelli che furono effettivamente aggregati, li scambiò con quelli del collegio dei consiglieri che dovevano esaminare e decidere in merito alla aggregazione. Ecco, in ogni modo, l’elenco esatto, quale lo abbiamo trovato a Venezia, dove fu confermato il 4 aprile 1411: Anlonius Porcelletta, Creste de Nimira, Antonius de Nimira, Fran-ciscus de Nimira, Stepe de Balbe, Pedrane de Machina, Domolus de Frantio, Dominicus de Signa, Joannes de Signa, Francolus Frantii, Marintius Porcelletta, Mathe de Scaffa, Martinus de Domaldino, Masius de Otolintio, Creste de Lentiis, Lentius eius filius, Marinus de Lentio.