56
AUTOBIOGRAFIA DI L. F. MARSIGLI
   Questa casa de’ miei padroni era un tugurio, fatto di legno e tutto affumicato; ed ivi abitavano ancora due altri loro fratelli, ciascuno de’ quali avea moglie con molti figliuoli, e tutti miserabili di vestito e poveri di vitto, ch’era solamente di fo-caccie di farina o di miglio o di avena. Per companatico altro non si ebbe, in tutto quell’inverno, che un piccolo bue, ammazzato nel nostro arrivo e posto tra il fumo d’ un camino, per farne cibo di più mesi, mischiato con cavoli. La maggior delizia però del gusto consistea nelle prugne, nelle poma e nelle persiche, che bollite nell’acqua facevano una vivanda chiamata in turco o z a f f .
   Fu a me assegnato per camera un piccolo buco di un camerino, con una angustissima fenestrella, e dalla madre de’ miei padroni, già vecchia decrepita ma molto caritativa, mi fu dato un sacco di fieno ed un capezzale ripieno anche di fieno, che, posto sopra una pietra, mi serviva di guanciale.
   In questo mentre avanzossi la mia malattia all’ultimo grado della disperazione, ed in essa non ebbi altro conforto, se non che la permessione, che dopo molte supplichevoli istanze mi diedero, di farmi venire il superiore de’ padri francescani; a cui confessandomi rivelai la mia condizione, ch’egli creder non vo-lea. Del resto medicamenti non vi erano ed il ristoro del cibo era di un ovo.
   Non tralasciavo però di raccomandarmi sempre per la vita e per la morte alla Beatissima Vergine, nel di cui aiuto unicamente speravo. La durezza del letto, dove giacevo, mi aveva piagati li ginocchi; se pure non furono piaghe della crisi della natura che, cominciando a guadagnare sopra il male, passò nella terribile crisi delle urine; per le quali principiando a respirare un poco, fui condennato a stare ogni notte sotto il grave peso d’una catena fermata in un chiodo fitto nel mezzo del camerino. L’appetito intanto facevasi canino, il ventre si gonfiava, le forze non ritornavano, il freddo era orrido, li pidocchi mi divoravano; ed il mio vestito consisteva in una pelle d’agnello, che mi era busto, ed in un paio di braghe di tela vecchia, privo affatto di stivali e di scarpe, in di cui vece avevo un solo paio