TARTE SECONDA 7!» far si dovea in faccia d’un tanto poderoso esercito, che non a prudenza, ma l’avrebbe attribuita, giusta la sua naturai superbia, a timore, ed in conseguenza si sarebbe servito della sua velocità per infestarci, così non vi furono diligenze, nè applicazioni, nè sforzi d’ingegno e d’arte, che dal duca non fossero impiegati. Onde instituì la macchina in tal forma, che vi fosse potuta essere sempre una linea di milizia e di cannone, tanto quanto lo spazio di que’ diversi e selvosi terreni potea permettere; e ciò fece con tale ordine, che fu a mio credere una delle più belle azioni ch’abbiano potuto immortalare il comando generalizio di sì famoso capitano. E benché il nemico tentasse con tutti li suoi sforzi di disordinarci, facendoci perseguitar da forti distaccamenti, con-tuttociò fu con suo danno e scorno ributtato, sinché ridottosi il nostro esercito in aperte campagne, nelle quali potevasi disporre in piena battaglia, non fece più caso di quello che il nemico avesse potuto tentare. Ripassò l’esercito il Dravo, che ben tosto prese la risoluzione d’accostarsi al Danubio alcune ore più a basso di Mohatz, accampandosi appunto nella pianura medesima, in cui seguì la fatale sconfitta di Lodovico II, re d’Ungheria. I turchi, secondo la loro naturale alterigia, fattisi baldanzosi per questa nostra ritirata ed avendola creduta fuga, gettarono un ponte in faccia d’Oessek e, col benefizio della siccità delle paludi, s’accamparono fra Darda ed il ponte di Prognovar sopra l’acqua di Carazza, e mandavano continuamente quel loro famoso Jeghin pascià, stato capo de7 ladri e ribelli dell’Asia, con un corpo di 10.000 in 12.000 cavalli, a tenere in soggezione ed in moto il nostro campo nella suddetta pianura di Mohatz. Il duca essendoseli più volte opposto con tutta la cavalleria, non fu mai possibile il tirarlo in battaglia. Vedutosi alfine familiare questo giuoco de’ turchi, senza più speranza d’impegnarli ad un generai fatto d’armi, si progettò di fare una gran trincea intorno a Mohatz, ed ivi ancora un ponte sopra la gran isola del Danubio, per poter fare il medesimo all’altro braccio, con un valido distaccamento ben trincierato ed assicurato di ritiro per mezzo de’ ponti e dell’isola, e di mantenere il possesso di quel terreno che importava la sicurezza di Ciclos e Cinquechiese, ancorché l’esercito