PARTE PRIMA 21 cadè in mio potere pochi anni sono, quando fui di nuovo in Costantinopoli. Da questi ebbi lumi per le mappe che vagliono nel mio Trattato della milizia ottomana. Ricevei gli oroscopi del sultano allora regnante e de’ di lui due figliuoli; e siccome nel primo stavano spiegati i suoi passati infortunii, così nel secondo non erano promessi inferiori al suo figlio ora regnante. E l’uno e l’altro poi da Cristina regina di Svezia mi furono in Roma levati, per inserirli in certi libri di sue raccolte astrologiche. Intanto la figlia dell’ ambasciatore di Francia da me fra queste occupazioni si serviva, insegnandoci le lingue reciprocamente e di continuo verso la sera divertendoci al giuoco de’ zoni nel giardino del palazzo di suo padre; con cui le mie inclinazioni sempre pivi, anche fra contrasti di varie rivalità, non incontravano disgradimento. Nella metà di maggio incirca, mi capitò sulla mattina di buon’ora un invito de’ suddetti paggi: che dovessi rendermi a loro nel Serraglio Scuttari, dove allora divertivasi il sultano; e non solo ne ottenni la licenza dal bailo, ma di più fui da esso animato con più regali ed instruzioni datemi, per aver rinscontro di quei trattati di pace, che, colla mediazione del kaam de’ tartari, fra la Porta e moscoviti passavano. Entrai nel Serraglio per una recondita porta d’un giardino, accompagnato dal mio interprete Kabài ebreo, condotto nelle stanze più segrete, dove ero atteso dal rinegato tagliator dell’ugne e dal custode de’ turbanti, che mi fecero vedere più sontuosi ornamenti del lor signore, i quali spiravano odor eccessivo d’ambra. Fra allegrie e scherzi, fu portata una magnifica colazione, su piatti di porcellana detta martabani, che, secondo il solito de’ turchi, non fu sì tosto veduta che mangiata; perchè prima di giungnere sparivano i piatti. Si passò poi al caffè, durante il quale mossi il discorso sulla pace de’ moscoviti, che mi fu rappresentata come conctiiusa per la spedizion, fattasi al kaam de’ tartari, di desistere dalla pretenzione della selva sul fiume Samarra, purché l’intiero corso e forti eretti nel Boristene restassero alla Porta, come seguì. L’espressioni loro amorevoli e le finezze verso di me sempre