PARTE SECONDA 101 pugnazione dalle trincee, volle ancora che la servissi a salir sopra d’ una torre di moschea e che ivi dicessi il mio parere intorno all’avanzamento delle trincee medesime, che tiravano ad aprire la rondella dell’angolo che guardava il Danubio, parte pili debole della piazza, mentre per sè altro non era che poca cosa, e che se alquanto si difese, fu per mancanza di cannone che attender dovessimo per alcuni giorni. Mi condusse poi al suo quartiere, ch’era quel belvedere fabbricato per un ameno soggiorno di sultan Mehmet IV, il quale ivi trattennesi durante l’assedio di Vienna. In questo chiusosi 1’ elettore in una camera meco, volle avere più notizie sul negoziatosi a Roma per il principe suo fratello e sulla salute del duca di Lorena, di cui domandomml se credevo che dovesse probabilmente andare a quel campo e qual animo avevo in esso scorto, soggiugnendomi che non avrebbe mai creduto che avesse il medesimo preteso di divider con lui la gloria del passaggio del Savo. Da ciò m’accorsi che andavano crescendo le rivalità fra que’ due principi, onde presi consiglio di risponderli con ogni cautela, sì per il servigio del mio padrone, come per le convenienze ch’osservar dovevo tra personaggi di tanta sfera. Nel tempo che si avanzavano le trincee e che già si vedea sicuro il buon successo dell’assedio, venne per espresso corriere da Buda l’avviso, che colà era giunto il duca di Lorena con la maestà della regina sua moglie e ch’avrebbe proseguito per acqua il suo viaggio, per rendersi al comando cesareo. L’elettor di Baviera fu tanto di ciò adirato, che non ebbe riguardo di dir pubblicamente avanti il congresso di tutti li generali, nell’ora di pigliar la parola, che se il duca di Lorena volea passar il Savo con la sua persona, sarebbe andato ad incontrarlo con la spada in mano, per dimandarli che cercava da quella parte in cui, sintanto che durava l’assedio, egli non avrebbe avuto comando. Questo parlar così risoluto fece ammutir ogniuno. E prevedendosi qualche gran sconcerto, il conte Carafa, eh’ allora era commessario generale e nell’auge del suo credito, restò con l’elettore dopo la partenza degli altri generali; e resosi poi