PARTE SECONDA 45 freccia fui necessitato a cadere in terra, la quale ormai consideravo come sepolcro. In questo mentre un tartaro, mosso dalla provvidenza di Dio che volle aiutarmi, trattenne il colpo d’un altro che mi volea decapitare, come a quel misero resto della mia gente fu fatto. Spogliatomi poi nudo, con la riserva delle calzette bianche, mi diedero i tartari una veste all’uso loro, piena di pidocchi, e non mi fecero altra legatura alle ferite, che quella d’una crudel fune dii pelle. E per lungo tempo strascinandomi a piedi, più desideravo la morte che la vita. La notte, per stagnarmi il sangue mi fecero un empiastro di sterco di bove, di fiori di pietra cotta e sale. Dopo mi condussero con loro per tre giorni sopra d’un cavallo tartaro senza sella, e sempre legato, senz’altro cibo che dii carne di cavallo. E fui spettatore della loro barbarie che non lasciò intatti neanche i templi di Dio. Ma in ciò non mi stendo, per non fare inorridire la mia memoria e chiunque leggerà. Altri tartari, di quelli che mi aveano preso, mi condussero nel gran campo ottomano, che stava di là dal fiume Rab, sotto Già va ri no, gridando chi volesse comprarmi. Mi occorse di essere condotto al campo di Micchele Abaffi, principe di Transilvania ; dove li di lui segretarii stavano consultando se mi doveano comprare. A’ quali chiedendo io il sollievo d’un poco di pane, me lo diedero, e mi domandarono se il valore tedesco era perduto e perchè l’armata cesarea s’era ritirata dall’incontrare un esercito ottomano, ch’appariva più di quello ch’era. A questi, come a ciascun altro, occultando la mia condizione, fui con dispregio tirato da’ tartari fuor della tenda e condotto in altre vicine, eh’ erano d’Ahmet pascià di Temeswur, stato precedentemente tefterdar della Porta ottomana, di nazione bulgaro ed uomo di molta prudenza, amico de’ franchi; e per questo ambiva d’aver anche tutta la sua corte formata di schiavi di tal nazione. Fra’ quali essendo due francesi, cercarono che di me facesse compra ; che seguì per il prezzo di 17 talleri. Liberato da sì barbare mani, come quelle de’ tartari, fui consegnato ad un ebreo chirurgo, e nutrito con cibi turchi, e ristorato in parte da quella gran debolezza in cui ero caduto.