54 AUTOBIOGRAFIA DI L. F. MARSIGLI giunta con un’altra del ponte di Oessek, avendomi sempre conservata questa carta, in piccolo busto di tela, insino che liberato giunsi a Venezia. Dal suddetto luogo passassimo al campo del gran vesir, nella pianura di là dalla montagna di San Gherardo, e propriamente alla sponda del Danubio. Questo nostro passaggio fu nel tempo istesso che da Baracano erano state ivi mandate due barche di teste cristiane, le quali diedero grande allegrezza ; la quale però cangiossi ben tosto in pianto, per la nuova della sconfìtta dell’esercito ivi spedito e della perdita del medesimo, per la qualità, se non per la quantità della gente, pii! sensibile a’ turchi della rotta sotto Vienna. Il kam de’ tartari, con alcuni suoi pochi più scelti ufficiali, distaccatosi dal gran vesir, si pose in marcia con noi verso Oessek per la strada regia, ch’era molto ben fornita di ponti, osterie e d’ogni altra cosa necessaria. Col viaggio di molte fatigose giornate, giugnessimo a Darda, villaggio che stava nel principio del famoso ponte di Oessek; il quale, col benefìcio della dimora di un giorno alla metà della allora asciutta palude, osservai e ne feci disegno con sugo d’erba nella carta suddetta, come dopo la mia liberazione da Venezia ne diedi conto al duca di Lorena. (NB. Cerchisi questa relazione fra le mie scritture). Il ponte, ch’era fatto sulla palude di travi ed agucchie di legno, si passò felicemente ; ma giunti al corso del Dravo, in cui era attraversato da un altro ponte, fatto di barche, non avessimo ugual fortuna, mentre li miei padroni al par di me furono rispinti, con una furia di bastonate, dalle guardie che stavano all’imboccatura di que’ navigli. Onde li convenne desistere dal tentativo di passare e, lungo il fiume Dravo, fra le asciutte paludi ascendere per più ore, insinattanto che potessimo arrivare ad un certo villaggietto, passando con una piccola barca il Dravo, giacché privi d’ogni compagnia eravamo restati noi tre soli. Fatto questo passaggio, fui preso da una indicevole tristezza d’animo, per la dissenteria che mi cominciò, senza lasciarmi per tutto il resto dell’autunno e per tutto l’inverno che soprav-