184 AUTOBIOGRAFIA DI L. F. MARSIGLI a Timisvar. Dopo il di lui arrivo ed avergli consigliato il posto, ebbi ordine di rendermi al campo, ch’era in faccia di Peter Varadino, comandato dall’elettore, che con somma impacienza m’attendeva col riscontro dell’operato. E fattogliene il rapporto con tutte le necessarie circostanze, fui con due mila uomini comandato per tre giorni al travaglio dell’opera Corna, avanti di Peter Varadino, e del forte nell’isola del Danubio. In questo mentre capitò il sicuro avviso, che già il sultano fosse giunto a Belgrado e che fosse pronto a passare il Danubio sul ponte di Pancua; e per questo, tenuto consiglio, fu intimata la marcia dell’esercito al passo di Begg, dove gionto l’esercito cominciò per tanti ponti a sfilare, formando il campo nel terreno di Timisvar; dove io attaccato da febbre dovetti guardare il letto e sentendo, con molta mia ammirazione, che vi fosse chi disconsigliava la continuazione di questa marcia col motivo che vi fossero acque da passare, ch’era impossibile. Il che riferitomi, mostrai non esser vero, fuori della prementovata Vinza Bara, per il qual ponte su 60 carri erano caricati li riquisiti per fabbricarlo in tre ore di tempo; e che per tutto il resto della marcia più tosto vi era da temere la mancanza dell’acqua per uso del campo, sì verso Timisvar che Lippa, dove in quattro comode marcie si poteva giungere a godere que’ magazzeni; e quando il sultano fosse da Timisvar in marcia verso Lippa, avrebbe dovuto fuggire o sostenere una battaglia; e che in detta Lippa sarebbe seguita la congiunzione con l’armata del Veterani, formando un esercito de’ più formidabili che mai fosse stato in Ungheria. Infine prevalse o la malizia, o il timore, o qualche privata passione; chè, sotto questo finto pretesto di non potere per causa di paludi continuar la marcia, s’ordinò di ripassare con tutto l’esercito il Tibisco, per cercare l’altro passaggio più sopra di Canissa; da dove ne venne tanto perdimento di tempo, che il sultano potette eseguire di prendere con la sciabla alla mano Lippa, facendo la guarnigione schiava. E, retirando la tanta quantità di viveri, cannoni e monizioni di guerra, messe quel luogo in fiamme.