PARTE QUARTA 173 portò a me il maggior danno nel campo; giacché la mia batteria molto interrata non poteva sì facilmente essere da quella colpita. Volli essere costante di mantenere il campo nel pristino sito, sperando col fuoco della mia batteria di potere rovinare quella dell’inimico, che quanto sorpassava la mia batteria, altrettanto m’ uccideva cavalli e gente del mio campo. Dimodoché nel mezzogiorno fui obbligato a disloggiarlo e farlo stabilire sopra di Similino e, col favore della notte, formare ad ambi li fianchi della batteria più linee interrate, per tenerli gente coperta che custodissero la inedema. L’armamento de’ turchi, che disperò di potermi più disloggiare, tanto col proprio cannone che della batteria dell’isola, pensò di formarsi in quel canale una sicura dimora, che li tenesse aperta la comunicazione di Timisvar con Belgrado, ch’era quello li premeva e che noi non volevamo; e per questo li turchi si risolsero d’alzare un trincieramento sul terreno di Timisvar, dentro del quale sbarcarono molta gente e cannoni: disposizione da capitano e che stabilì la conservazione primaria della piazza. Si risolse di volere tentare ogni sforzo di sloggiarli da quel trincieramento e dentro del medemo postare più batterie, e sus-seguentemente far discendere li nostri barconi armati e con altre batterie su la ripa del Savo levare ogni sito d’asilo e dimora all’armamento de’ turchi. Primo passo a questa operazione fu quello di gettare un gran ponte sul Danubio in faccia della moschea di Simelino, che in meno di 24 ore felicemente feci fabbricare, nonostante il continuo cannonare dall’ isola e dall’armamento turco, a che pure rispondevano li nostri legni armati che coprivano il medemo ponte. Il generale Aisler, con un gran distaccamento di cavalleria e molti cannoni leggieri dell’assedio di Belgrado, passò il Savo e, per questo nuovo ponte del Danubio, nel terreno di Timisvar ; e postosi in battaglia, s’avanzò verso il prementovato trincieramento de’ nemici, ordinandomi dal mio primo posto di secondarlo con uno incessante fuoco di cannone, come anche si fece dai nostri legni armati, et allumandosi una cannonata delle più grandi che da molto tempo si fosse intesa. Dovette il gene-