254 assai acconciamente la sua grand’ aria, e fu meritato d’ applausi. Così non fu del duetto, e peggio ancor del terzetto : 1’ opera seria qui cadde nel buffo, e scese tanto al fondo da non riconoscerne più la nota ispirata. Era da mettersi le man tra’ capegli o almen sugli orecchi. Non diremo di chi fosse la colpa : tutti n’ ebbero la loro parte, e, il Gallo non se ne offenda, 1’ orchestra n’ ebbe la sua. Ella tirava giù alla disperata, e in generale non serbò il necessario colore. L’ atto terminò come terminano per ordinario i disgraziati, con l’alienazione di tutti. Le cose si mantennero tali quali nell’ atto 3.® fino al brindisi dell’Orsini, che la Ciaschetti disse con garbo e vivacità, sì che, da senno o da burla, se ne domandava, contro tutte le regole e però non si ottenne, la replica. Il duetto tra Gennaro e Lucrezia cominciò male e finì bene, poiché dei due resta in vita ella sola, ed ella nell’ ultima parte s’ animò di viva e drammatica azione, quale da principiante, e in tali difficili condizioni nou si sarebbe aspettato, e trovò alcune note stupende con bei modi infiorate. Il perchè si rinnovarono gli entusiasmi della cavatina, e, compiuto lo