302 ga; poiché Oro, il re, de’sullodati Metalli, ha una figlia d’ossa e di polpe, eh’ egli onestamente procrea, alla presenza dei rispettabili astanti, da una rupe. Come ogni buon padre, ei pensa alla sua educazione, e la manda per ciò tra’ mortali, con un solo divieto, di non amarne nessuno, e a meglio guardamela l’affida appunto alla procellosa custodia d’Aquilone, o sia Borea. Certo io non porrò in forse i diritti del vento alla guardia delle fanciulle; ma nella sua qualità del nume de’metalli, il padre avrebbe forse meglio provveduto alla fortuna della figliuola nel mondo, accompagnandola a qualcuno della sua corte metallica, all’oro, per esempio, o all’argento, che sono sì facili introduttori e ministri tra gli uomini. Ad ogni modo la bella fanciulla, eh’ ha nome Doriinda, viaggiando in compagnia d’ Aquilon per le nuvole, capita nel regno un po’ romoroso, ma niente poetico, nò allegorico, di Polonia; e quivi, non appena ha tocco il terreno, che già dimentica del paterno decreto, e in lei più potendo Amor che Aquilone, perdutamente s’ accende d’ un artigianello polacco, sotto le cui vesti,-abbandonando le liquide spoglie, s'asconde appunto per piacerle il Danubio. Qui l’affar si complica