215 morire ; nessuno più cura i suoi commerci, le sue officine ; invano il mare ci si stende a’ piedi : noi non abbiamo più d’ uopo nè di vestirci, nè di mangiare ; la nostr’ ora è sonata e les bâtimens qui entrent dans le port, s’ en retournent tout chargés sans avoir laissé à Venise une tonne de marchandises et sans qu’ une voix sorte de ce sépulcre a domandare misericordia : insomma la cometa d’Encke, la quale s’ avvisò d’accostarsi di qualche milione di leghe alla terra, è caduta tutta sopra Venezia ; Venezia non è più ; siam tutti morti : per noi il finimondo ha il valore di cosa già consumata. Parce sepultis. Il quadro, non si può negare, è d’un certo effetto. Non è un quadro d’après nature ; ma alla maniera di V. Hugo e di J. Janin, Victor Hugo che fabbrica le case dei tiranni di Padova praticabili di notte a tutto il mondo ; J. Janin che non trova altro di notevole a Bologna che il becchino del Campo Santo, e scava nella sua Gabriella il Canal grande in Piazza a S. Marco. Del rimanente Venezia d’après nature sarebbe stato un quadro par trop plat, banale ; era d’ uopo di qualche cosa d’immaginoso e di grande, giacché per nulla il J. des Débats non