141 za. Ma, o Gnecco, nobilissima stirpe de’ Gnocchi, tu cui la vita non costa altra fatica che quella del masticare, e sì dispregii quelle d’altrui, oh ! quanto saresti più misericordioso e benigno, se quell’ ingegno che avesti solo per abbattere e sfabbricare dovessi adoperarlo a creare od erigere qual cosa del tuo, e a vivere delle sue opere. Oh ben saresti allora meno felice, ma non saresti almeno de’ Gnocchi ! Ma questa felicità del talento, che vien su con le rendite dal fattore, io non la invidio. Quella eh’ io m’ auguro è la felicità di quegli animi fortunati, la cui serenità è a pruova di tutte le traversie della vita, ed a cui, anche in mezzo alle necessità ed a’ mali che la circondano, splende un perpetuo sorriso di gaudio e di contentezza. Quand’ io penso di quante cose altri ha d’ uopo per vivere ; che schiera, che traino di cure, di fastidii, d’affanni si trae seco per molti la esistenza, a quante altre la propria è incatenata e soggetta, oh quanto invidio la sorte di quel mortale avventuroso, di quel Diogene senza botte, ma divoto di tutte le botti, il quale si sottrasse a tutti questi tormenti, e si creò uno stato fuori d’ogDi dominio e dipendenza, nella sola dichiarazione dei nu-.