L’ombra del Tarabosch 191 canto alle reliquie della fame il fondo di un grosso proiettile trasformato in un minimo serbatoio d’acqua. Accanto all’acqua, tra il terriccio dei sacchi il granoturco marcito e le cartucce, è nato un piccolo fiore all’ombra dello shrapnell.... Ormai le trincee sono circondate tutte da reticolati fittissimi di filo di ferro per impedire gli estremi attacchi; attraverso un labirinto metallico scorgo un’asse gettata dai montenegrini sul reticolato per -tentare il passaggio. In un intricatissimo dedalo di filo di ferro e di stagnole (che nella notte oscura dovevano compier l’officio di sveglie sonore, movendosi per ogni più piccolo colpo dato al reticolato) scorgo, orribile a dirsi, lo scheletro di un povero torace umano, di un lottatore che qui fu impigliato come una mosca, si dibattè e cadde. Ormai la vetta estrema è vicina. Guardo l’anello immenso delle posizioni montenegrine intorno, penso ai fuochi incrociati di tutte le batterie. Mi pare di non respirare più. E salgo ancora. Le trincee diventano tane; i sacchi di terriccio sono aperti a tratti in feritoie. Una grande buca mi si para innanzi, difesa con cura gelosa da un triplice reticolato: è una cisterna rivestita di cemento, che emana un odore nauseabondo ma che fino ad un mese fa fu il deposito dell’acqua, selvaggiamente difesa per la sete dei difensori.