La commedia delia diplomazia r.i — mi ha detto nel suo curioso gergo veneto-montenegrino — scrivete nei vostri giornali che devono lasciarci battere. Non pecore: uomini siamo! L’Europa non ci lascia fare, e ci tratta peggio che i cani perchè siamo poveri. Siamo poveri, ma abbiamo la testa per studiare, e se non parliamo altra lingua che la nostra povera lingua sciava, non vuol dire che sentiamo come le bestie!» Johan si commuove lino alle lagrime, mi prende per le mani: «A noi poveri lutti dir bestia, dir ladro, dir assassino! Ma noi non siamo.... Sono trent’anni che non ci battiamo, che non ci lasciano battere. Non se ne può più. E i turchi vengono, e ammazzane uomini, e ammazzano bambini, e ammazzano le donne che portano i bambini. Questi sono i turchi. Ah, lasciami andare, signore: ho male al cuore!» E Johan — che non è una figura retorica, ma un montenegrino vivo e fiero, che parla così — se ne va borbottando: «Voi prendete Tripoli, e Costantinopoli se volete. Noi vogliamo Scutari. Ah, se il nostro Re ci comanda.... » Quando comanderà il Re? Entro nell’atrio del Grand Hotel, il popolare albergo di Vuko, e dò un’ occhiata alla parete dove si affiggono quotidianamente i telegrammi del Cor-respondenz Bureau di Vienna.... Costituiscono il rudimentale giornalismo cettignese insieme con un piccolo foglio slavo, e li attendiamo