158 ALBANIA valcata, preceduta dal ghegò Fai — una guida caratteristica con la mantelletta nera, la ca-piza bianca e due pistole alla cintola — chiusa poco eroicamente dall’interprete Lliazi figura di giocondità tassoniana — ha lasciato Valona di buon mattino fra lo strepito grande e si è incamminala sotto un sole ardente attraverso la laguna di Arta. Poiché, conviene avvertir subito il lettore, l’equitazione albanese è sempre a passo d’uomo, e spesso — come dire? a nuoto di cavallo. La laguna d’Arta è un pantano che attraversiamo a stento mentre la baia di Valona si distende a lato in tutta la sua magnifica configurazione. I profili sono segnati all'imboccatura da Capo Linguetta e da Saseno; nello sfondo nereggiano gli infa-mes scopulos Acrocerauniae, le montagne che già furono sfondo alla guerra civile negli ultimi anni della repubblica romana. E la cavalcata nel fango, pittoresco pellegrinaggio attraverso le vie della guerra, dura così fin quasi al passaggio della Vojussa. Ma già prima del fiume i disertori seminano la via: quasi tutti sono chiusi nelle ampie tuniche a brandelli, senza scarpe, senza panni, senza un’espressione viva nel volto. L’ebetudine del dolore irrigidisce questi fieri soldati dell’Anatolia che la guerra lia ischeletrito. Chi non può più camminare si getta su un lato del sentiero che vorrebb’essere strada, e muore sotto questo divino sole senza