194 àlbànìa I poveri morti ottomani stanno con volti contraffatti dallo strazio o imbestiati dalla putrefazione in un piccolo pianoro sotto la vetta. E sulla vetta passa sibilando il vento. Scendo a sera verso la città; i pendìi bassi lungo il lago mi sembrano verdi, di un verde umido e folto che non ho mai conosciuto, dolce alla vista dopo lo spettacolo della montagna arida, macerata di ferro rossigno. E mentre mi avvio verso Scutari — città di cinque bandiere — ecco, la vita ritorna anche alle falde del monte. Sale verso l’accampamento un vigoroso soldato montenegrino, più forte e più lacero degli altri, che avevo appreso a conoscere giorni sono: è un italiano, un nobile signore veneto, venuto ad arruolarsi come soldato semplice per tutta la durata della campagna, che patì come gli altri lo strazio dell’assedio del Tara-bosch, e non cercò mai un grado nè parlò mai con un testimone della guerra perchè di lui e del suo eroismo maraviglioso e segreto che pare superi le possibilità umane, si scrivesse. Il signore in abiti laceri, ormai legato dal sangue ai suoi fieri e selvaggi fratelli montenegrini^ prosegue senza parole.