183 ALBANIA more cadenzato dei passi si leva a volo da ima tomba semi-aperta lì accanto. Poi altre cartucce a terra, il segno di un altro combattimento vivo; due baionette contorte, il calcio di un fucile spezzato. Più nulla, per brevi passi. Ad un tratto, nell’insenatura d’ombra di una vailetta, il terreno rossiccio appare come crivellato, trasformato ip un vaglio gigantesco: sono le buche scavate dai proiettili montenegrini che arrivavano fin qui, trivellavano il volto della montagna, le mutavano aspetto, lasciandole impresse le traccie vive della guerra. Tutto intorno, frammenti rossi di ruggine: il ferro delle granate scoppiate che la pioggia e la rugiada hanno reso rorido. Lascio a mano sinistra l’accampamento del piccolo Tarabosch dove una compagnia montenegrina accampa sotto le tende per una estrema affermazione di possesso, e vado oltre per salire l’ultima cima. Sullo spartiacque della catena, il panorama diventa superbo: la catena del Tarabosch si disegna sotto di me come un grande sperone che, costeggiando il lago, entra nel cuore del Montenegro. Di là dalla Bojana, Scutari appare ormai lontanissima: si distingue ancora la Cattedrale bombardata, alta sugli edifici minori; il castello di Rosa-Pha sembra un giocatto- lo su una collinetta. Tutto intorno nella grande conca luminosa sono le posizioni che i montenegrini avevano conquistale.