186 ALBANIA avesse le radici dov’è il Bazar, il tronco nella via che conduce alla città e il fogliame nel fitto dei giardini fra i quali sorgono come vivi frutti le case. Ormai ogni veste dell’occupazione internazionale era sparita: dal Tarabosch Scutari poteva riapparire turca o montenegrina, come nei giorni fieri della guerra combattuta. E non era più tale. Ripensavo al Be quasi ottantenne che alla vigilia dell’abbandono di questa capitale agognata e presa, avevo visto a Cetti-gne dinanzi alla porta della sua modesta dimora regale render giustizia ai popolani con un buon sorriso triste e con un largo gesto della mano, come ai giorni della buona pace; ripensavo 'al vice-ministro Ramadanovic che mi aveva dato l’annuncio della consegna con serenità, quasi dicendo a sè stesso per il Montenegro: Incipit vita nova; mi riapparivano sopra tutto le imagini frequentissime dei mutilati e dei feriti che avevo viste nella corsa a traverso il Regno, a Cettigne, a Niegosch, a Rijeka, a Vir: storpi, ciechi, amputati nella terra che pochi mesi prima mi era apparsa come il più bel vivaio della più forte razza umana. Ripensavo al piccolo Regno d’oggi, più arido nelle sue montagne, senza case e senza abitanti; affollato nei villaggi di donne vestite quasi tulle a lidio, di feriti senza rimpianti, di uomini validi fatti più aspri contro gli stranieri, pronti a commentare fieramente o a ten-