L'agonia turca al campo di Fieri 159 lina parola nè un lamento. Ne ho visto agonizzare uno all’ombra di un albero immenso; un altro soldato gli era accanto. Non lo assisteva, lo guardava: pensava a sè probabilmente. E nessuno di noi ha pensato a salvare il morituro: non ci sarebbe stato modo, nè avremmo potuto salvare tutti quelli in cui poi ci incontrammo. Già la guerra ritornava ad assuefare i nostri animi e a chiudere il volto in un’espressione ermetica. La guerra è finita, ma sulla via crucis da Fieri a Valona si muore ancora, per la guerra. Quand’ecco, appaiono al l’orizzonte altri frassini.... Certo un fiume è prossimo, la Vojussa. li con il fiume la vita. I soldati scalzi che incontriamo, con una mano si tengon chiuso il cappotto, con l’altra vi domandano l’elemosina di un para. La Turchia d’oggi è rappresentata in Albania da questi infelici che avevano ieri un’arma per comandare e per offendere e che oggi chiedono danaro per fame. L’agonia dell’impero balena dinanzi agli occhi. Da una capanna, caratteristica come un tucul abissino circondato dalla zeriba, escono due o tre zingare che si attaccano alle gambe del cavallo e squittiscono nel loro idioma chiedendo con modi insinuanti un parci. La natura qui accanto è mirabile eppure la miseria gri: da in tutti. L’inerzia condanna l’Albania a questo stato, poiché l’ottimo terreno argilloso po-trebb’essere coltivato con gran rendimento; e