279 Domina nello spartito non so qual tinta graziosa, una fragranza orientale, mirabilmente accomodata al soggetto, e che lo discosta dagli altri. È una nuova maniera dell’ autore, maniera meno ambiziosa, più quieta, che dà ragione al canto sugl’ istrumenti, e non confonde col rumore la mente. Da ciò la diversità de’ giudizii, che intorno questa musica si profferirono, e che però molto si modificarono dalla prima alla seconda rappresentazione. Quando la comprenderanno, la gusteranno anche più. L’ opera non ha sinfonia : comincia, di subito, con un semplice discorso degli strumenti, principalmente da corda, appoggiati al clarinetto, il quale dà come il segnai del silenzio. L’introduzione, composta da un coro a voci scoperte, cantato di dentro, è seguita dalla cavatina del tenore, bellissima in ¡specie per la facile e vivace cantilena della cabaletta, come pure per una certa piena d’ armonia, che ne accompagna 1’ ultima parte, ed in cui soavemente campeggiano i violini. Questa medesima spontaneità e vivezza di melodia si nota nel duetto, che vien dopo, tra soprano e tenore, la Vives, Medora, e il Oraziani, Corrado, dove, non so se sia più singolare o leggiadro il