159 lezza, ma non novità. Il Verdi trovò il suo in casa e se lo tolse. Ma dove 1’ uno e 1’ altro pregio riscontrami, è principalmente nel gran finale dell’ atto primo. Esso comincia con un canone de’ due bassi, il Coletti ed il Rodas, imitato poi variamente da tenori e soprani, e con movimento contrario da soprani e tenori del coro, mentre i contralti ed i bassi ci fanno un possente pedale. La imitazione e gli epi-sodii passano con ingegnoso e alterno artificio d’ una in altra parte ; s’ avvicendali, s’intrecciai s’ uniscono ; la stessa frase, in tutte le guise modificata e rivolta, ti giunge sempre soavemente all’ orecchio, finché si compila nella magnifica stretta, d’ un effetto veramente mirabile. Egli è uno de’ più grandiosi finali, che mai s’ udissero, e caratterizza il grande maestro. A lode del vero, bisogna pur dire che cantanti, cori ed orchestra lo eseguiscono con tutta la perfezione. In genere, il dramma ha situazioni arrischiate, violente, e male non le sostennero gli attori. L’ Evers qui più che nella Semiramide si mostra attrice intelligente ; e la preghiera, eh’ ella, innalza al cielo nella sua aria, quella,