342 nona piaga d’ Egitto, le tenebre ; e la gente, con Faraone sciamava: Liberateci da questa notte ; vogliamo vederci in volto, contemplare i sembianti, contemplare almeno le braccia! A dirla più netta, l’apparatore si dimenticò di far chiaro, quando la necessità della scena non richiedeva che fosse scuro. E questa fu quasi la sola ombra di questo gran quadro. Non ¡scontrammo ancora in teatro un cantante, che sostenesse cosi drammaticamente il suo personaggio, come fé’ il Corsi nella parte di Rigoletto. Per trovare qualcosa di simigliante, bisogna ricondursi a’tempi della Pasta, quando gli artisti venivano a studiare in lei le bellezze dell’ espressione e del gesto. Povero Rigoletto ! Come il Corsi ne dipinse le angosce, quand’egli, dopo le scellerate profferte dello Sparafucile, entra in sè stesso, e getta uno sguardo doloroso e di rimorso sull’ abbietto suo stato, mal augurio traendo da quella imprecazione del vecchio, che lo persegue. Com’ ei rappresentò il dolor contenuto, sotto le apparenze delle usate facezie, nell’ atto secondo, quando cerca la figlia ; e con qual forza, e in pari tempo con quale acconcezza, con quali ingegnose gradazioni e d’ accento e d’ azione, egli esprime il concetto