313 quella (lei baritono, sono di tale categoria. Nè abbiamo detto miniera per nulla ; ora si vede quanti ebbero a queste vene feconde ricorso, e come più d’ uu felice pensiero, eh’ altrove fece fortuna e diventò popolare, di qui in origine fu colto e lavorato. 1 luoghi più luminosi dell’ opera sono appunto i cori e i pezzi d’insieme, quelle grandiose armoniche masse, sì dottamente e ingegnosamente condotte, di cui abbonda lo spartito ; e fra queste il superbo finale della introduzione, e quelli del secondo e terz’ atto. E convien anche dire che i cori, i quali, per verità fuor dell’ usato, assai tentennarono ne’ Caputeti, qui, alle prese con asprezze molto maggiori, non pure si tennero saldi, ma dimostrarono 1’ ordinario valore. Più fortunati de’ Russi, que’ prodi Romani non incontrarono nessun Inkermann ; affrontarono tutte le difficoltà e le superarono. Come nell’ amore e negli animi, Emilia e Giuliia, 1’ Orecchia e la Corvetti, furono unite nel canto, nè si saprebbe cui dare la palma. La Corvetti fu docile a’ consigli leali della critica ; lasciò la naturale sua forza alla voce, e cantò con la più pura e animata espressione. L’ Orecchia, come negli altri, adoperò egual