295 viezia la sua Gerusalemme, tutto guasta e sfornata, e moltiplicarsene quindi senza numero le edizioni, arricchendo delle immortali sue fatiche gli avidi stampatori, mentr’ egli, povero e nudo, nello squallore d’ un carcere, non ne aveva ritratto alcun frutto, ridotto a mendicar da un amico un centinaio di scudi per la stampa Ielle altre sue opere. Ed ei, che di tante cose, si lagna, ed impreca gli uomini, la natura, e pensa fino all’ età dell’ oro, di si enorme sventura, che per lui fa piangere ancora la posterità, non muove pur un lamento, non se la ricorda nè meno ! Se non che, questa sciagura qui gli è risparmiata, poiché la pubblicazione del poema è anticipata di non so quanti anni, e posta prima della sua prigionia ; il che, s1 è contrario alla storia, lo libera almen dalla taccia di trasandarla. In generale, egli ha nel dramma il torto d’esser diverso da quello, che fu ed appar ne’ suoi scritti. Si crederebbe p. e. che quel-1’ animo mite e modesto, che di sé dubbioso si consultava con tutti gli amici, e ad essi, prima di arrischiarlo alla luce, sommetteva il maraviglioso suo canto ; si crederebbe eh’ egli