Libro Settimo ; 3 p f prendofi poco doppo, che la volean co’Gallija’quali tol-fero l’ifola di S. Margherita nel 1634, in cui cadde nelta città di Corfu vn fulmine , e attaccando il fuoco nell’An-gelo, ch’era su la cima del campanile della Chiefadi S. Spiridone, e nel legname, che fofteneua le campano, difparue. Se io non ifcriueifi vna Storia, ma componeilì Panegirici, belle confiderationi potrei fare fopra queita faetta mifteriofa, che cadde dal Cielo in tal luogo, e con_, tali ammirabili circoftanze. Dir fi potrebbe, che Spiri-dione, tutto acceio di amore verfo il fuo Dio, volle, cho al fuo Tempio affifteisero, non Angeli, ma Serafini; onde all’Angelofi aggiunterò le fiamme, che fono propie de* Serafini. Toccò il fulmine l’Angelo, perche di legno ; volendo il Santo puri ipiriti al fuo corteggio, non efsen-do cofa materiale, degna di accompagnarlo. Volea puro la vampa vendicarfi delle campane, à cagione, che nello torture di bronzo non confefsauano, benche à gran fuo-no parlaisero, il merito grande di quell’Eroe, che tolio co’fuoi prodigi le cento lingue alla fama. Accorteroi Cittadini àefìinguer l’incendio, e vno, che per la paura^ delle nubi, non ancora fatie di fulminare, non vide il pericolo di cadere, precipitò dall’alto fino à terra,fenza male di forte alcuna ; poiché inuocato il nome di Spiridione, non cadde nò, fu da mano inuifibile poito leggermente fui fuolo. Belliflìmo Elogio fà di tal fatto in Greco, o in Latino, Niccolò Vulgari, che con tale occafionecompendia molte marauiglie del Santo, che moftra di continuo la fuaprotettione fopra Corcira, la quale non lafcia dicorrifpondere alle fue gratie con l’offequio douuto. Non vorrei, che il fulmine mi traiportaife, fuoradel Fff 2 mio