Libro Terzo. 133 Principe, diuenne fepolcro della moglie, e de’figli predando fola viua vna fanciulla, detta Corcira, qual riièr-bò il Ciclo per iè à maggior confufione del genitore. Hor vanne al tuo Apollo, ò empio moftro d’infedeltà, e pruo-ua fé i fuoi allori fanno difenderti dalle iàette. Tu al Santo toglierti i piedi, Dio ne’ figli à te togle il foftengo di tua famiglia -, à quello troncarti tu le mani, il Monarca iò-urano à te nella moglie troncale braccia: à che piùpenfi ? Il fulmine non è valeuole à introdurre nel tuo cuore vn lampo di fede ? Ma Cercillino, c'hauea lo fpirito più duro dell'antico Re di Egitto, che mai non volle ammollirlo al tocco de’ flagelli, comporti dalla Mofaica verga, fece-* ftraicinare Antonio fuora della Città, ouedopporeio gratie al fuo Creatore, finì di viuere. Quefto fù il primo atto di quella tragedia gloriofa, di cui fù teatro Corcira. Fù il primo Antonio à entrar le porte del martirio, come auuezzo à maneggiare le chiaui. Molto nel carcere del corpo non douea ftare il carceriere j libero volò fubito alla patria de’ beati. Scriife lafua vita vn tal vecchio Teo-doiìo, il quale di notte raccoliè il iàcro corpo, e nella* Chiefetta di S. Stefano dell’ifola di Vito, ò Pitia, naico-ftamente gli diè fepoltura. Era pur Criftiano quefto Tcodofio, ma rtaua del continuo ritirato per paura del Principe, il quale, non fatio delle paifate carnificine, à bere nuouo fangue già fi apparecchia. Manda per gli due Vtfcoui, che, condotti alla fua preiènza, furono da lui tentati à lafciare Crifto, ad adorare Apollo. Ma Giaio-ne, e Sofipatro, che furon maeftri di Antonio, non ha-uean da farfi’nfegnare la coftanza, dalla quale auualorati, Qoi adoriamo, dillèro, il Dio di Apollo, che altro non*