154 ei mutò nella mezza lana l’Aquila e i Gigli degli antichi signori, e tra gli archi moreschi, dal battuto di quella loggia, il figlio di Maometto, volto nella sua kebla, col pensiero e la faccia alla Mecca, al cielo inalzava la inesaudita sua prece. Ma il figlio di Maometto ebbe qui pur la sua Egira; egli abbandonò, costretto, que’ luoghi, e li cercherà forse invano tra poco. Ma quando e’ più non sorgeranno, arrestati a mezzo della loro ruina, rimarranno ancora a far fede del passato nel bel dipinto dell’ immaginoso straniero. La tela dell’aitar del Santissimo è presa in tal punto di prospettiva e sì acconcio, che ne riceve grande risalto. Quelle pareti ti si sfondano al guardo, e quasi ti lasciano indovinare il maggiore tesoro, che il ristretto campo t’invola alla vista. Dal sito onde miri le opere di questo franco pennello, alla Cappella Zen, è brevissimo il varco; bai sotto gli occhi que’fini arabeschi, que’ freg-ii, que’ meandri, i preziosi lavori dei Lombardo, del Leopardo, dell’ Alberghetti, ma anche a fronte del vero non perde o scompare la seducente finzione, la quale con sottile e ingegnoso artifizio ti raddoppia que’rari tesori: