284 al teatro, che non poteva allegrarsi di più fiorito ed eletto uditorio. Ci fu un momento commovente e solenne; quando appresso la introduzione il coro canta : Ecco Manfredi, e Manfredi si mostra, il pubblico veneziano, sempre cortese e gentile, immedesimandosi nell’ angoscia e nel-P interna battaglia di colui, che ignaro e dubbio ancor del successo, fidato dal giovanile coraggio, di cui forse in quel punto pentivasi, gli si gettava in braccio, ponendo in sua balìa la speranza e 1’ avvenir sorte della sua vita, che dipendevano dal voto supremo di quella sera, ruppe in applausi sì fragorosi e iterati, che pareva non avessero ad avere più termine ; quasi avesse voluto provargli, che non meno a intelligente e sicuro, che ad umano e grazioso giudice egli crasi abbandonato. Ma «ecco che al benigno fragore succede il silenzio più formidabile; tutti gli occhi sono in lui volti, tesi tutti gli orecchi, ogni animo nell’aspettazione sospeso. Il novello cantante dischiude già il labbro, e il teatro risuona d’una voce bella, limpida, insinuante e che tutto lo adempie. La sua sillabazione è sì netta, sì pura, che non se ne perde non che parola pur sillaba, nè s’ha alcun uopo del libro. Alcune felici smorzature, il vario co-