390 XXXIX. La Sonnambula. — Amalia Zecchini (*). La rappresentazione di sabato sera non fu una rappresentazione come tutte le altre. Ella aveva in sè qualche cosa di grave e solenne ; più che un semplice trattenimento, ell’era una pruova fortunosa e fatale, in cui una giovane e bella vocazione veniva al paragone del pubblico voto, e lo spettatore ne recava quasi in mano le sorti; dietro quella tenda celavasi l’intero avvenir d’una vita, il premio a lunghi sudori, e a lunghe fatiche, o il misero disinganno di mal concette speranze; con essa s’apriva un calle di fiori e di luce, o con essa i più cari idoli d’onore, di fortuna e di fama per sempre sparivano. Quando si misurava col pensiero la gravità del cimento, e attorno volgendo lo sguardo si vedevano quelle logge da cima a fondo occupate, la platea fitta, inquieta, tumultuante, simile al mare quando lo travaglia il vento, e per altra parte colà in alto s’imma- (*) Gazzetta del 14 dicembre 1841.