89 fesa della propria fattura. Io 1’ aveva calunniato, ferito nella parte più viva e infiammabile dell’ esser suo, 1’ aveva coperto, se non d’ obbrobrio, di un’ atra macchia di fumo. Come delle cipolle o dei tiranni, aveva detto di lui, ch’ei/a pianger» nella loro stanza le genti, egli che invece le ristora e conforta ; egli il padrone del caldo, 1’ uomo, a questi giorni, più potente che il sole, che volge nel tepido mezzogiorno le tramontane più rigide; egli, Narciso, il Rurafort dei camini, il più grand’ alunno di Franklin ! Il fumo, che, come la gotta nella medicina, è l’obbrobrio dell’ arte ! Attribuire il fumo alla sua stufa, darle questa nera cagione! Ma questo è come chi dicesse d’una poesia, eh’ ella non ha estro, che manca di novità una musica, di imitazione una pittura: è ferir l’arte nella sua più intima essenza, torle il pregio più sostanziale. E di questo fumo ei vuol essere appunto purificato, deterso; non vuol che s’ attacchi quest’ oscura caligine al suo nome : il fumo, ei lo scaccia, lo manda in alto, lo costringe per le cappe dei camini, noi vende; egli è ministro di luce e calore, e non d’oscurità; Narciso dà in vampa, dà in brace, ma non in fumo: quanti invece han fumo e non brace !