347 se non molto edificante, certo assai semplice, ma alquanto rilevata dalla parte dello spettacolo, la quale è condotta con abbastanza ingegnoso e naturale artifizio. Il fuoco delle fucine è imitato, a vederlo cosi ad occhio nudo e un po’ dalla lunge, con qualche verità, e poco basterebbe a renderlo perfetto, solo che si trovasse modo da fare sparir quelle fiamme, che ritengono la loro figura anche quando fingon o d’ essere sponte, quasi si gelassero in aria, e volessero qui rinovar il fenomeno notato già sotto il polo da quel tal capitano russo, di cui non ha guari parlammo. Allora non si credeva, ora si vede. Lo spettacolo che principia nelle fucine di Vulcailo, si termina, come doveva essere per la qualità de’ personaggi, nell’ Olimpo, dove Venere con Zeffiro e Flora ritorna, dopo aver dato di sè in terra sì buoni esempi. Se non che quell’ Olimpo non è per verità tale da far concepire un’ idea tropp’ alta della facoltà inventiva de’ superni architetti, nò diverso da tutti gli Olimpi, che si aprirono ^1 guardo mortale in consimili occasioni. Nè più fortunato quanto ad effetto fu il coro degli alati amori che accompagnar dovevano contro Vulcano il figliuolo di Venere ; erano così impac-