241 con la sua luce o piuttosto con la ineffabile sua dolcezza, l’opera sua. L’orchestra colorava con ¡squisita perfezione e misura i concetti di quella mente amorosa; le antiche impressioni eran rideste c riconciliarono alquanto il pubblico a’can-tanti, cioè al Pedrazzied alla SchUtz nel bel duetto del second’atto. Certo si sarebbe qui desiderato l’effetto di quel famoso ti sprezzo, che aveva altra volta potere di levare a rumore il teatro; si sarebbe in ambedue desiderato un po’ più di colore, di movimento, d’entusiasmo insomma drammatico; nulladimeno il duetto non passò inosservato; si notò nella Schutz qualche momento felice, qualche passo maestro; ella si contentò d’esprimerci non i suoi, ina i concenti dell’autore, e il pubblico lo gradì e ne fe’ segno. Ma tutto questo fu vinto dall’ultima parte. Quivi alla malinconica lira del Bollini, s’aggiunsero per più effetto le corde del Vac-caj, e se ne tolsero le ultime scene del suo spartito. D’ un tratto e senza transazione veruna si varcò dal mediocre al sublime, dalla noia o dal compatimento, al più compiuto diletto e vero entusiasmo. Fu come un improvviso raggio caduto nell’ orror d’una notte, un’ oasi nel de- VII 16 .