.volto. Chi vi giun"ia per le vie joruche la vede balzare dalla Itela verde-azzurrina dell' onde, tutta loffula d'un profondo senso marino. La vede affacciata lulla sua vasta rada che le an­tiche Chèradi Iiparan dalle procelle, poco dis­limile forse, da IUQie, a quella che i navigatori etruschi e agrigentini, i navarchi epiroti e car­tallineai salutavano con grida festoie quando, Ili­rato Capo San Vito, celsata la fatica e caduto il vento, toccavan la meta del viaggio. E an­cora tra i due promontori di Leuca e della Co­lonna il Sinu$ T arentinu$ l'allarga meravilllioso, recando sulle sue prode Crotone e Sibari, Meta­ponto ed Eraclea, le città già illustri ora dive­nute umili borgate di cui lo splendore antico non è che nelle voci delle rovine. Quale maledizione s'era abbattuta negli ultimi secoli su queste rive celebrate, sì da ridurre il fasto a miseria, la floridezza a febbre e a Iqual­ Era Itato questo il golfo benedetto da tutti gli Dei, vilitato da tutte le grazie, quasi foggiato, con le braccia de' suoi promontori, in guisa di stringere a sè i tributi che continenti e isole pa­rea gli recassero nei fianchi capaci delle loro navi da traffico. Erano calati al suo splendore tutti gli innamorati della Bellezza e del Sole: consoli, sa­cerdoti e poeti della Repubblica di Roma: Ce­sari, matrone, senatori dell' Impero Romano, e mai canti più alti e più gioiosi s'eran levati, di quelli che suonarono tra le candide colonne del tempio di Era Lacinia, lulla rupe avviluppata dal mano • 100­