— 25 — agili, fanno il va e vieni attraverso la ferita mortale per la cui la morte è penetrata nella nave; apertura spalancata. È la breccia per la quale gli animali famelici hanno riempito il gonlio ventre della sostanza presa inerte dagli uomini, strappandola con le pinze, succhiandola con le trombe, dilaniandola con gli unghioni. La misteriosa essenza di quella misera carne aveva generato un’anima il cui ricordo abita, forse, sulla terra in una pia memoria. E là, dietro le murate di legname, che non cadranno più mai, giacciono scheletri vestiti con brani di stoffe, e crani distaccati dal tronco riflettono sul loro contorno polito la luce vivida delle bestie che hanno spolpati della loro carne convulsa dalla morte, dalla pressione e dall’algore. Sì, li hanno spolpati dalla maschera macabra che aveva recato negli abissi un’immagine raggrinzita della specie umana. Così i muti abitanti degli abissi ci mostrano la degenerazione dei molteplici aspetti della morte allorché li riconduciamo, cadaveri, alla luce del giorno. Voi che seguite meco la dolente esplorazione del cimitero più vasto in cui la natura impone a tutti i cadaveri la medesima sepoltura senza pompe e senza lacrime; in cui la spoglia si inabissa nell’argilla composta di altre spoglie, non sentite l’invasione di una tristezza scoraggiante ? Pensate che mai l’espressione di un sentimento non scenderà da uno sguardo umano su quelle ossa relegate al fondo dei soggiorni inaccessibili per appartenere alla storia della vita. Furono uomini come noi che abbiamo vissuto su questa terra, che hanno parlato, goduto e sofferto presso a noi. I secoli sorvoleranno su quei volti penetrati nel silenzio di cui la forma sola narra il passato : su quei visi in cui si solidifica la macabra convulsione che attesta la vanità dell’esistenza. E il pulviscolo vischioso accumulerà sopra essi montagne e vallate, mentre che i flutti e la vita scorreranno nella luce solare. La luce fosforescente che esseri senza nome trascinano seco negli abissi indietreggerà di fronte alla