mSSlma, che il partito della gentaglia croata ha cercato di cancellarne taluna che più delle altre gridava. Sulla facciata del Palauo Comunale, il Leone di San Marco reca ancora i segni dell' ol­traggiosa violenza subita da una turba di fana­tici. Ma è rimasto saldo al euo posto; nè le mani, nè gli arnesi dei nepoti di Dirci.lavo, figlio di Cresimiro, hanno avuto la forza di aveUerlo dalla muraglia ed' abbatterlo al suolo. 
E il bestiale insulto appare più che mai vano se per la città si vaghi alcun poco e se ne mediti l'anima e il volto. Tutto ad Arbe è veneziano 
o italico. Per cancellare l'antiche impronte, per sostituire al latino aspetto del luogo una nuova fisonomia più cara al loro cuore, i croati non avrebbero dovuto lasciare contro il cielo nè una sola casa nè una sola pietra, ma tutto demolire e bruciare nella loro furia. 
Così, malgrado le sopraffAZioni e gli attentati Arbe è rimasta una città italiana. Italiana per quel chè re6ta della Basilica di San Giovanni Battista, alzata nell'XI secolo; italiana pel auo bel Duomo costruito nel 1200, dolcemente illu­minato nelle aue tre vaste navi dal fiorito occhio di pietra che  sulla sua fronte, 7icco di superbi scanni corali, veneEianamonte scolpiti nel 400, e si.1enz:i0l0 intorno a quella sua ar<:a d'argento in cui è racchi 

o il capo di San Crutoforo cinto di corone gemmate; italiana pel rude palazzo del Conte, che una torre quadra fiancheggia, .aldo blocco di pietre annerite su cui s'apre la grazia di qualche bifora leggera; italianissima, infine, pei .uoi molti campanili cuapidati, per le •.:e 
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