— 140 — onde spietate la cui furia inquieta assaliva continua-mente la nave. L’acqua scorreva a cateratte davanti alle porte del castello, ed era giocoforza varcare con un salto il getto d’acqua di un piccolo Niagara per riuscire a raggiungere la cuccetta umida. I marinai entravano bagnati sino alle ossa e tornavano ad uscire infagottati nelle vesti male asciugate per far fronte alle implacabili e redentrici esigenze del loro destino oscuro e glorioso. A poppa, scrutando vigili le nubi lacerate dal vento, si intravvedevano fra la nebbia tempestosa le figure degli ufficiali. Ritti in piedi, agguantati ai guarda-mani, lucenti sotto le cappe d’incerato, essi si mostravano ad intervalli, a seconda del folle beccheggio, altissimi, attenti, violentemente scossi od in atteggiamenti immobili al disopra della linea grigia dell’orizzonte greve di vapori. Osservavano il tempo e la nave con lo stesso sguardo con cui quelli di terra seguono le temibili fluttuazioni della fortuna. Il capitano Allistoun non lasciava mai il ponte, come se anche egli ormai facesse parte delle attrezzature di bordo..... La gente riunita a poppa, l’orecchio teso, fin dal primo comando dell’ufficiale di guardia durante il cattivo tempo, ammirava il suo valore. Le palpebre battevano alla burrasca, le guance abbronzate si imbevevano di gocce più amare delle lacrime umane; barbe e baffi ammollati pendevano in giù sgocciolando come alghe. Fantasticamente deformati, in stivali e con i grandi « sudovest » in capo, gli uomini oscillavano pesantemente, rigidi, impegolati negli incerati luccicanti, simili ad avventurieri bizzarramente mascherati per qualche favolosa impresa. Ogni volta che il «Narciso» si sollevava senza sforzo su qualche cresta vertiginosa e glauca, i gomiti si toccavano, i volti si rischiaravano, le labbra mormoravano : «Magnifico!»; mentre tutte le teste, girando come una sola, seguivano con sorrisi sardonici